Sogno o realtà?
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Foto di 0fjd125gk87 da Pixabay |
Finalmente dopo giorni di lavoro intenso Gioia era riuscita a ritagliarsi un paio d’ore tutte per lei. Aveva deciso di andare a vedere la mostra di De Chirico, erano gli ultimi giorni dell’esposizione e non l’avrebbe persa per nulla al mondo. Giorgio De Chirico era uno dei pittori preferiti di sua madre che spesso da bambina, quando poteva, la portava con sé e le spiegava la bellezza e la particolarità di ogni quadro dell’artista. Arrivò alla galleria che mancava circa un’ora alla chiusura, comprò il biglietto ed entrò di corsa nella prima vasta sala dalla quale cominciava il percorso della mostra e subito alla vista di tutti quei bellissimi dipinti rimase senza fiato.
Gioia amava di De Chirico i suoi primi lavori, le opere realizzate nella prima parte della sua carriera, tra gli anni dieci, venti e trenta del secolo scorso quelle che sono più entrate nell’immaginario collettivo. Opere che appaiono come sospese, percorse da visioni sulle quali si muovono simboli misteriosi e personaggi sfuggenti, immagini oniriche e complesse allegorie. Il suo preferito era senza dubbio “Mistero e malinconia di una strada” del 1914 che raffigurava una via assolata dalle lunghe pennellate dalle tinte vivaci come il giallo e l’arancione che creano una ambientazione irreale e sospesa nel tempo. Non vedendolo nella prima sala percorse velocemente il piccolo corridoio che la separava dalla seconda e una volta entrata con una rapida occhiata lo vide appeso alla parete di sinistra, vi si diresse immediatamente senza indugiare oltre. La sala era deserta, c’era solo lei e il bellissimo dipinto di fronte. La sua atmosfera rarefatta, il cielo plumbeo, il buio sotto i porticati rendevano l’immagine carica di suggestioni malinconiche e inquiete che la fecero precipitare in uno stato d’animo di angoscia e tristezza fino a farle girare la testa e farle mancare il terreno sotto i piedi facendola cadere per terra senza sensi.
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“Mistero e malinconia di una strada”, 1914, olio su tela. Collezione Resor, New Canaan (USA) |
Quando si risvegliò pensò per diversi minuti di essere
ancora svenuta o di essere molto probabilmente impazzita perché quello che vide
non poteva essere spiegato razionalmente, si trovava infatti sdraiata per terra
al centro della strada sterrata e polverosa del dipinto di De Chirico, si
trovava in tutti i sensi nel suo mondo.
Le ci volle diverso tempo per accettare la nuova realtà,
cercò con difficoltà di rimettersi in piedi e di orientarsi in quella città
fantasma, completamente deserta. I porticati di quell’enorme edificio che la
sovrastavano sembravano non finire mai e l’aria era immobile, nessun suono a
spezzare il silenzio. Piano mosse i primi passi verso un carrozzone con le ante
spalancate che si trovava alla sua sinistra, dentro non c’era niente, si chiese
cosa avesse contenuto. Improvvisamente vide arrivare verso di lei la bambina
che giocava con il cerchio. Una ragazzina di circa 10 anni con un vestitino a
tinta unita di un colore imprecisato e una coda di cavallo a raccogliere i suoi
capelli. All’inizio la ragazzina non la vide, era concentrata a non far cadere
il cerchio che faceva rotolare con maestria ma poi si accorse di lei e si
immobilizzò come se avesse visto un fantasma, lasciò andare il cerchio che dopo
pochi giri cadde con un sol colpo a terra immobile.
Le due si guardarono per qualche secondo indecise su cosa
fare: la bambina aveva uno sguardo curioso, osservava quella strana creatura
così simile a lei ma anche così diversa. Non aveva mai visto nulla di simile
prima, in realtà non aveva mai incontrato nessuno, vagava per quella città deserta
perciò quell’incontro così inaspettato la rendeva felice, finalmente non era
più sola. Gioia, madre di una bambina di circa la sua età, le si avvicinò ma
non riusciva a scorgere i lineamenti del suo viso che rimanevano perennemente
in ombra. La donna, osservando in passato il quadro, si era sempre chiesta cosa
ci facesse quella bambina in quella strada polverosa, priva di ogni forma di vita.
- Ciao, come ti chiami? Dove sono i tuoi genitori? – le
chiese Gioia mentre il suo istinto materno prendeva il sopravvento. La bambina
la guardava senza capire cosa lei dicesse, evidentemente non comprendeva le sue
parole, non parlava la sua lingua. Poi corse a prendere il cerchio e le fece un
gesto a dirle se voleva provare a farlo girare, voleva farla giocare con lei.
Gioia rimase un po' interdetta, non sapeva se assecondare
la richiesta della ragazzina o se scappare a gambe levate alla ricerca di una
via di fuga dal quel mondo irreale. Ma improvvisamente si rese conto di non
essere spaventata o di provare paura per quello che le stava accadendo anzi
dopo tanto correre appresso alle incombenze quotidiane lì finalmente si sentiva
in pace, nessuno che la giudicava o che la metteva alla prova. Non doveva
rendere conto a niente e a nessuno. Così prese il cerchio e cercò di farlo
rotolare una, due, tre volte fino a quando non riuscì a spingerlo lontano e correndogli
dietro lo fece rotolare a lungo senza farlo cadere, la bambina la seguiva
ridendo e saltellando felice. Nulla sembrava poter turbare quella quiete.
Corsero a perdifiato per un tempo che a Gioia sembrò indefinito fino a quando
improvvisamente si sentì terribilmente stanca e dovette sdraiarsi per terra per
riposarsi un po' e senza rendersene conto si addormentò.
Quando si svegliò si trovò per terra nella sala della
mostra circondata da diverse persone che le facevano aria e le chiedevano come si
sentisse. Lei inizialmente non capì cosa stesse succedendo poi si ricordò
tutto, ogni momento passato in quel mondo con quella strana bambina. Era
convinta che non potesse essere stato solo un sogno. Una donna l’aiutò a
rialzarsi, le chiese se avesse bisogno di un medico, se non fosse il caso di
andare al pronto soccorso ma lei disse che stava bene, anzi non si era mai
sentita meglio in vita sua e si diresse verso l’uscita. Vide che con la caduta
la gonna le si era sgualcita quindi con le mani cercò di stirarla ma quando
ebbe finito notò che i suoi palmi erano sporchi, come impolverati da un
terriccio giallo ocra. Un sorriso le si dipinse in volto e serena si incamminò
verso casa.
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