2. Una casa per i mici
Attirate dal cibo che mettevo sul
balcone per la mammina spesso salivano dalla strada due gatte molto discrete
che venivano tollerate da Baffetta e alle quali alla fine incominciai a dar da
mangiare giornalmente, impietosita dai loro sguardi imploranti.
Una aveva un aspetto estremamente
accattivante, il dorso era ricoperto da un folto pelo nero e il muso e il petto
erano di un bianco candido, inspiegabile per una gatta di strada. Sul muso, a
destra, sopra alla bocca aveva una piccola macchia di pelo nero simile ad un
neo che le conferiva un’aria molto vezzosa ed è per questo che la soprannominai
“Damina”.
Damina una volta imparata la strada si
faceva vedere molto spesso, quando aprivo la finestra per darle qualche cosa
non si allontanava impaurita come succedeva per la maggior parte degli altri
ospiti ma si strusciava alle mie gambe o alla mia mano protesa, cercando ogni
volta di infilarsi in casa dietro di me. Si capiva che era una gattina vissuta
in famiglia, che aveva dimestichezza con gli umani dei quale preferiva la
compagnia più dei suoi simili e che cercava una famiglia che la adottasse.
L’altra gatta, invece, era molto meno
graziosa anzi aveva un aspetto dimesso, nulla in lei la faceva notare
particolarmente, era infatti piccola di corporatura e il suo pelo bianco e nero
era spesso polveroso e scomposto, ma ciò che la caratterizzava era l’infinita
pazienza con la quale aspettava che qualcuno di noi le desse qualcosa da
mangiare. Da lei scoprii la pazienza smisurata che hanno i felini, la capacità
di rimanere immobili nella stessa posizione per molto tempo in attesa di
concretizzare il loro disegno ed inoltre la grande dignità di non chiedere, di
non pietire con lamenti o richiami, ma raggiungendo il loro scopo soltanto
guardandoti fisso negli occhi che mai si abbassano o distolgono lo sguardo da
te, piegando con la loro perseveranza ogni eventuale resistenza.
“La chiamerò Postulante” mi disse un
giorno mio figlio mentre apriva la finestra del balcone per allungarle un po’
di cibo, “perché sta lì da un pezzo ad attendere che io le dia qualcosa. Non ti
sembra una dignitosa mendicante?”
Mio figlio aveva trovato proprio un nome
azzeccato, pensai, per quella gattina e grazie alla sua tenacia riuscì ad
entrare nella schiera dei nostri assistiti, anche se a differenza di Damina si
mostrava piuttosto forastica e poco incline a socializzare. Infatti benché le
dessimo da mangiare giornalmente e le dimostrassimo cordialità ad ogni sua
venuta non ci consentì mai di avvicinarci a lei né tanto meno di accarezzarla.
Dopo tre settimane i piccoli di Baffetta
avevano incominciato a mettersi in piedi sulle quattro zampette e, sebbene
molto incerti, avevano tentato di uscire dal cesto, ma scavalcarne il bordo
ogni volta risultava una grande impresa, per cui dopo essersi dati molto da
fare rinunciavano alla scalata, ritornando esausti ad ammassarsi gli uni sugli
altri, sprofondando in un sonno ristoratore.
Soltanto a quattro settimane, molto più
sicuri avevano iniziato ad avventurarsi sul balcone esplorandone tutti gli angoli,
con grande nostro timore in quanto avevamo paura che, essendo così piccoli da
passare attraverso le inferriate del balcone, finissero di sotto e, pur stando
al primo piano, era una bella altezza per gattini così piccoli.
Incominciai allora a mettere dei vasi
uno in fila all'altro lungo l’inferriata per evitare che precipitassero di
sotto, tenendoli maggiormente d’occhio per intervenire sollecitamente in caso
di pericolo.
Era un piacere vederli correre su e giù per il
balcone, inseguirsi, farsi degli agguati da dietro i vasi inarcando la schiena a
gobba, mordicchiarsi rotolandosi per terra. Durante le loro perlustrazioni
qualcuno aveva scoperto il piattino con il cibo e dopo averlo annusato ben bene
aveva iniziato ad assaggiarlo trovandolo di suo gusto, richiamando così l’attenzione
di qualche altro fratellino che vi si era infilato dentro con tutte le zampe,
non avendo ancora capito che si trattava di cose commestibili.
Quando Baffetta ritornava dalle sue
passeggiate che ormai erano diventate frequenti e prolungate, non trovando i
suoi piccoli nel cesto come prima, li chiamava con un richiamo che non avevo
mai sentito e che per nulla assomigliava al classico miagolio, richiamo che
percepito anche in altre simili situazioni imparai a riconoscere come espressione
tipica delle mamme gatte, al quale i piccoli rispondevano uscendo fuori dai
loro nascondigli.
Pur avendo i cuccioli iniziato a mangiare
dal piattino alimenti solidi Baffetta continuò ad allattare i più mammoni per
circa un altro mese, poi smise allontanando da sé con decisione chi voleva
ancora attaccarsi ai suoi capezzoli per succhiare il latte, ma continuando a
far visita ai suoi piccoli un paio di
volte nella giornata per leccarli e coccolarli
Vedendoli ormai così intraprendenti e ad
autonomi incominciai a pensare di dover trovare una casa per quei gattini
perché temevo che prima o poi potessero seguire la madre, tentando di scendere
in strada avventurandosi sui tetti dei garage e nei giardinetti sottostanti e
fare una brutta fine. Ne parlai con Giacomo con la speranza che avendo dei
parenti al paese potesse collocare qualcuno di loro ma con grande sorpresa
scoprii che i gatti non sono tanto ben accetti nel mondo contadino:
“Se fosse stato un cane” mi rispose
“forse gli avrei trovato un padrone, in campagna sono utili, fanno la guardia
al pollaio o alla casa, se uno è cacciatore sono indispensabili, ma un gatto
chi lo vuole? I gatti sono infingardi, ti stanno vicino perché gli dai da
mangiare ma sono pronti ad andarsene se trovano di meglio. E poi al mio paese
ci sono già tanti gatti randagi e la gente si lamenta che cercano di aggredire
le galline.” Cercai di convincere Giacomo dicendo che ciò che si sosteneva sui
gatti erano solo pregiudizi, che questi
animali sono amabili ed affettuosi, ma in nessun modo riuscii ad intaccare le
sue ostinate convinzioni.
Cercai allora fra le mie conoscenze se
vi potesse essere qualcuno a cui affidare un micetto ma fu tempo sprecato
perché c’era chi mi rispondeva di possederne già uno, chi di avere un cane, chi
di non esser per niente interessato a sobbarcarsi l’impegno gravoso di un
animale.
Ogni volta che comunicavo ai miei figli
che i miei tentativi non avevano avuto un esito positivo facevano salti di
gioia all'idea di poterli tenere tutti, mentre io diventavo sempre più
preoccupata per la loro sorte e per la mia.
Alla fine mi decisi di indagare se fra
qualche mio alunno ci fosse stato qualcuno interessato a possedere un gatto
anche se, dopo aver sentito le obiezioni di Giacomo, nutrivo poche speranze,
insegnando allora fuori Roma, nelle vicinanze di Lunghezza in una zona di
campagna.
Tuttavia un giorno entrata in classe con
enfasi comunicai che sul mio balcone erano nati dei bellissimi gattini che ora
erano svezzati e pronti per essere adottati e che se uno di loro l’avesse
voluto sarei stata contenta di affidarglielo.
Contrariamente al previsto furono in
molti a rispondere con entusiasmo, ma il giorno dopo il numero si era già
dimezzato perché io avevo imposto di chiedere, prima di prendere un impegno, il
permesso dei genitori.
Di tutta la classe a conti fatti
rimanevano soltanto sei bambini che si dichiaravano disponibili ad adottare una
bestiola, ma di questi, tre non li ritenevo affidabili. Uno era molto infantile
e poco responsabile, di un altro avevo saputo dai compagni che teneva un cane
alla catena e che spesso lo picchiava, il terzo, essendo i genitori fuori casa
per lavoro tutto il giorno, girava come un pacco da questo o quel parente e non
avrebbe avuta nessuna possibilità di occuparsi di un animale.
Alla fine la mia scelta si posò sui i
tre rimasti che erano abbastanza responsabili e i cui genitori di persona erano
venuti a dirmi di essere al corrente e disponibili ad accogliere i gattini.
Prima di affidarli ai nuovi padroni dissi loro che sarei andata di tanto in
tanto a trovarli a casa per verificare come crescevano e feci loro capire tra
le righe che se si fossero occupati di loro correttamente, ciò avrebbe influito
positivamente sul loro giudizio globale alla fine dell’anno scolastico. All'epoca
ancora non era stato introdotto nella scuola il concetto di credito scolastico
per attività socialmente utili ma io ne avevo già intuito la convenienza anche
se solo a vantaggio dei tre piccoli gatti.
Con il tempo fui soddisfatta della mia
scelta non solo perché i miei alunni si rivelarono sensibili e affettuosi con
la loro bestiola ma soprattutto perché i loro resoconti mattutini sulle gesta dei
loro piccoli amici aveva polarizzato l’attenzione della classe sul mondo
animale, sul rispetto che a loro si deve ed inoltre rivalutato la figura dei
gatti liberandoli da un’infinità di pregiudizi.
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