Il Cesto di Natale

 

Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay 


Una mattina come tante di buon’ora il signor Franco uscendo dal portone di casa per andare a comprare il suo quotidiano vide di sfuggita affisso ad un albero della sua strada un cartello con su scritto qualcosa. Non si fermò però a leggere che cosa dicesse perché non era la prima volta che vedeva attaccati agli alberi o ai pali della luce dei volantini e pensava di sapere di che cosa si trattasse. Un suo coinquilino, infatti era solito tramite tali biglietti intimare ai possessori di cani di non far sporcare la strada ai loro animali o almeno di raccogliere i loro bisogni. Erano degli inviti al rispetto della pulizia della strada che ciclicamente il suo autore proponeva ai passanti ora gentilmente ora in tono minaccioso ma che purtroppo sortivano poco effetto. Al signor Franco ricordavano le grida di manzoniana memoria e non si stupiva che non avessero un seguito, purtroppo era convinto che in giro ci fosse tanta gente maleducata e poco rispettosa del prossimo. Ma al ritorno a casa dopo una mezz'ora vide un capannello di persone ferme sotto l'albero su cui era affisso il cartello che commentavano animatamente. 

Incuriosito si avvicinò e lesse: Albero della solidarietà – se hai bisogno di cibo e non puoi pagarlo, ogni sera lasceremo qui della pizza gratis. Buona cena! Quasi tutti si domandavano se si fosse trattato di uno scherzo perché il pensiero che un invito così generoso fosse vero non veniva in mente a nessuno. Purtroppo la gente abituata a sentire brutte storie non riusciva spontaneamente a pensare che qualcuno potesse offrire aiuto gratuitamente ai meno fortunati. Ma il giorno dopo il mistero venne svelato, l'iniziativa era stata presa dal proprietario di una pizzeria poco distante da quell'albero. 

Proprio così, un giovane siriano Moeh di 27 anni, emigrato nel nostro paese, che aveva aperto il suo negozio due anni prima, aveva sentito il bisogno di fare qualcosa per le persone meno fortunate di lui. A chi gli aveva chiesto che cosa lo avesse spinto a prendere quella iniziativa diceva che lo aveva fatto per un bisogno di giustizia. Spesse volte dei clochard si erano affacciati a tarda sera nel suo locale a chiedere qualche pezzo di pizza avanzata e lui si era reso conto di quanto fosse stato fortunato nel riuscire a realizzare il suo sogno mentre tante persone vivevano sole e in miseria. Aveva aggiunto nel messaggio dopo le 23 perché pensava che a quell'ora, essendoci poca gente in giro coloro che si fossero avvicinati a all'albero per prendere la pizza avrebbero potuto godere di maggiore privacy. L'iniziativa si diffuse per tutto il quartiere e il pizzaiolo ebbe molteplici attestazioni di stima da parte degli abitanti e anche la sua attività ne trasse notevole vantaggio perché molti furono coloro che si recarono a mangiare nel suo locale per la curiosità di conoscere il benefattore. 

Anche il signor Franco rimase piacevolmente sorpreso da tanta generosità ma nello stesso tempo si sentiva anche un po’ a disagio. Si vergognava di essersi poco curato degli altri e la lezione di umanità che gli era stata data da un giovane emigrato gli pesava. Quando era ancora in vita sua moglie era lei che manteneva i contatti con gli amici e parenti che si recava in parrocchia per la beneficenza ma dopo la sua prematura scomparsa e il trasferimento del suo unico figlio all'estero per lavoro egli si era chiuso a riccio, poi il fatto di essere andato in pensione lo aveva definitivamente allontanato da tutti. Trascorreva le sue giornate in maniera monotona, ripetitiva, al mattino l'acquisto del giornale, un po’ di spesa al supermercato poco distante dalla sua abitazione, quando era bel tempo una passeggiata alla villa comunale, nel pomeriggio lettura, televisione, la sera qualche programma culturale e d'informazione, altrimenti a letto presto. Unico diversivo quindici giorni in agosto in montagna presso una pensione economica che frequentava da anni. Anche con sua sorella e i suoi figli si vedeva poco solo quando per qualche ricorrenza lo invitavano a pranzo, eppure avrebbe potuto invitarli lui al ristorante, aveva una buona pensione, ma solo ora si accorgeva tristemente che non ci aveva mai pensato. 

Da quando aveva appreso dell'albero della solidarietà si attardava ad andare al letto, poiché dalla finestra del soggiorno si godeva della vista dell’albero si appostava al buio dietro ai vetri per vedere se l'iniziativa avesse avuto successo. I suoi appostamenti non venivano quasi mai delusi perché dopo le ventitré il signor Franco poteva riconoscere alcuni mendicanti del quartiere sollevare da terra dei cartoni che un inserviente della pizzeria aveva lasciato poco prima. Una sera che si trovava in attesa da qualche tempo senza che si presentasse nessuno forse perché faceva freddo e soffiava un vento gelido, il signor Franco in procinto di staccarsi dalla finestra vide aprirsi il portone del palazzo di fronte e uscire un uomo coperto da cappotto e cappello che, con fare guardingo, dopo aver attraversato veloce la strada si dirigeva presso l'albero, poi dopo essersi guardato intorno raccogliere il cartone della pizza. Mentre però si apprestava ad attraversare nuovamente la strada il sopraggiungere di un’auto lo aveva costretto a fermarsi e, la sventagliata dei fari, gli aveva illuminato una parte del viso. Il signor Franco sobbalzò, aveva riconosciuto il professore di violino, il suo dirimpettaio che abitava nell'ammezzato. Non poteva credere ai suoi occhi che il professore si fosse ridotto a prendere la pizza di nascosto e a non poterla neanche comprare. Andò a letto molto amareggiato proponendosi di informarsi l'indomani dal suo portiere. 

Infatti il giorno dopo appena sceso per comprare il giornale si diresse presso il gabbiotto del portiere chiedendogli se il professore dava ancora lezioni di violino perché un suo amico cercava un maestro per il nipote. Era naturalmente una scusa per intavolare un discorso sul professore. Il portiere rispose che ancora le dava e che secondo lui ne aveva proprio bisogno, perché aveva saputo da una signora che andava da lui in passato per le faccende domestiche che se la passava molto male economicamente. Il figlio aveva perso il lavoro e lui si toglieva persino il pane di bocca per aiutare lui e i suoi nipotini. Il signor Franco rimase basito per tutto il giorno l'immagine del professore che si toglieva il pane di bocca non lo abbandonava. 

Decise di fare qualcosa, il Natale ormai era alle porte e l’idea che il professore e la sua famiglia non avessero neanche il minimo per festeggiarlo lo faceva star male. Gli venne in mente una idea assurda ma decise di realizzarla. Avrebbe comprato un grande cesto natalizio, ne aveva visti di bellissimi al supermercato, alcuni oltre al classico panettone e spumante erano colmi di tante cose buone: cotechino, lenticchie, salamini, parmigiano, frutta secca. Si, avrebbe acquistato uno si fatto e glielo avrebbe portato, ma mentre pensava ciò si rese conto che non era una buona idea perché il professore riconoscendolo si sarebbe offeso e si stupì di non averci pensato. Ma subito ebbe una illuminazione, si ricordò che nel soppalco ci doveva essere un abito da Babbo Natale che per qualche anno aveva indossato quando suo figlio era piccolo. Decise quindi che lo avrebbe messo e così abbigliato avrebbe recapitato il cesto la vigilia di Natale, convinto che nessuno lo avrebbe riconosciuto.

Certo della bontà della sua idea il signor Franco la sera precedente la Vigilia, vestito di tutto punto da Babbo Natale attese con ansia che il portiere si ritirasse nella sua abitazione, poi furtivo velocemente uscì dal portone. Per fortuna in strada non incontrò nessuno e poté, non visto suonare al citofono. Al professore che chiedeva chi fosse riferì che doveva consegnare un pacco. Quando questo apri la porta rimase oltremodo sorpreso nel vedere un uomo vestito da Babbo Natale con un grande cesto ma il signor Franco non gli dette tempo di parlare, con voce artefatta gli disse che era un dono di un amico che voleva mantenere l’anonimato e mettendoglielo sulle braccia corse via prima di dover dare altre spiegazioni.

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