10. La nuova vicina e l'arrivo di Piccolo

 



Intanto il numero dei gatti che gravitavano nel piccolo cortile adiacente al portone d’ingresso della mia abitazione e nei giardinetti limitrofi erano aumentati per l’arrivo di una nuova inquilina che aveva preso alloggio in uno degli appartamenti al piano terra che nel frattempo si era liberato,  avendo traslocato da un palazzo poco distante insieme a tutti i suoi gatti.

La nuova condomina, una giovane signora vivace e dall'accento settentrionale, si rivelò subito una grande amante dei gatti e una esperta  in materia, tanto da stupirmi in continuazione. Per prima cosa aveva attrezzato il piccolo giardino in modo che i suoi gatti potessero trovarvi riparo e alla porta finestra, che su di esso si apre, aveva predisposto una gattaiola in maniera che le bestiole potessero entrare e uscire  a loro piacimento ed inoltre all'ingresso del suo giardino aveva apposto una targa con su, scritto: Gennarino, nome che inseguito apprendemmo appartenere al gatto più anziano del gruppo. La signora quando nel pomeriggio inoltrato tornava dal suo ufficio era solita chiamare a raccolta tutti i suoi animali per fare con loro una passeggiata intorno all'isolato, all'inizio io e i miei familiari ne rimanemmo veramente sorpresi perché non avevamo visto mai nulla di simile, poi ci abituammo a quella originalità. Chiamati per nome, i gatti uscivano ad uno ad uno da dove si trovavano e seguivano la loro padrona in corteo sui vari marciapiedi, sollecitati di tanto in tanto se qualcuno durante il tragitto rimaneva indietro. La giovane inquilina sembrava il pifferaio magico della famosa favola quando, suonando il suo strumento, radunava cammin facendo un innumerevole stuolo di topi. Ed inoltre si rivolgeva ai suoi gatti come ci si rivolge alle persone ed io spesso sentendola parlare a voce alta stando nel mio appartamento, avevo l’impressione che si intrattenesse con degli amici, salvo rendermi conto che invece dialogava proprio con i suoi gatti. Chiaramente con il tempo non mi sono più stupita ed era diventato per me abituale sentirla conversare con Gennarino, Nerone, Pallino e compagnia o entrare ed uscire da casa seguita da un codazzo di quattro zampe.

Quando il dolore per la scomparsa di Principe si era un poco lenito capitò che nuovamente una gatta di passaggio partorisse su uno dei miei balconi due micetti. Non su quello lungo,dove aveva sgravato anni prima Baffetta, ma su uno molto più piccolo su cui si affaccia lo studio di mio marito. La scoperta non mi procurò né stupore, né  gioia come mi era successo anni prima ma, devo essere sincera, una certa insofferenza per dover nuovamente ospitare la puerpera e i suoi piccoli con tutto ciò che sapevo bene avrebbe comportato. Inoltre il dispiacere per la perdita di Principe non mi faceva desiderare di riprendermi in casa un altro gattino. Così decisi di non occuparmi della gatta lasciando a lei il compito di crescerli e gestirli come meglio avrebbe creduto. “ E se divenuti più grandicelli i piccoli inizieranno a scendere in strada?”. Mi prospettò un giorno mia figlia avendo appreso la mia decisione di sottrarmi ad ogni sorta di responsabilità. “Vuol dire che se ne occuperà la madre e poi, aggiunsi, mettiamoci nelle mani della Provvidenza, perché sono stanca di fare la balia a tutti questi animali!” Mentre lo dicevo però sapevo bene in cuor mio che non ne sarei stata capace e che qualora si fosse determinata qualche situazione di pericolo per la famigliola non avrei saputo esimermi dall'intervenire. Ormai la mia passione per gli animali mi condizionava al tal punto di non riuscire ad essere indifferente di fronte all'abbandono o alle sofferenze di qualunque individuo in difficoltà, spingendomi ad intervenire.

E fu per questa mia eccessiva sensibilità che nuovamente fui coinvolta mio malgrado ad occuparmi di uno dei due piccoli nati sul balcone. Quando i cuccioli a circa due mesi iniziarono goffamente a muoversi sul terrazzino uno di essi il più gracile e sprovveduto, arrampicatosi su di un vaso finì disotto su la pensilina che funge da tettoia al portone d’ingresso della mia abitazione. La distanza del balcone dalla pensilina non è grande, ma probabilmente il gattino cadendo dovette farsi piuttosto male sbattendo da qualche parte perché io affacciandomi lo vidi fermo inerte come morto. Convinta che purtroppo non ci fosse più nulla da fare pregai mio figlio di calarsi dalla finestra sulla pensilina per recuperarlo, non accettando l’idea che potesse rimanere li abbandonato.

Ma quando mio figlio con una certa difficoltà riuscì a risalire in casa e mi porse quel piccolo fagottino di pelo mi accorsi che ancora respirava. Pensando che comunque non ne avrebbe avuto ancora per molto perché sembrava trovarsi in uno stato comatoso, lo adagiai in un cestino dopo averlo avvolto in una pezza di lana in attesa degli eventi ma, con grande sorpresa di tutti, dopo qualche ora riprese conoscenza alzò piano piano il capino emettendo qualche afono miagolio.

 Rimase per circa un giorno e una notte nel cestino rifiutando i nostri tentativi di alimentarlo, alternando il sonno prolungato con brevi periodi di veglia, poi lentamente riprese le forze e incominciò a leccare delle piccole quantità di omogeneizzato di pollo che gli portavamo fino alla bocca con un cucchiaino. La ripresa fu molto lenta e dopo alcuni giorni spontaneamente decise di mettersi in piedi e di fare qualche passo fuori del cesto per la stanza. Fu a quel punto che mi accorsi che aveva uno strano modo di muoversi, come se non controllasse bene gli arti posteriori ed avesse dei problemi alle anche pur essendo la funzionalità normale. Pensai che la caduta forse avesse potuto produrre quel difetto di deambulazione e pertanto incominciai a sentirmi in colpa al pensiero di rimetterlo sul balcone insieme alla mamma e al fratellino che nel frattempo si era irrobustito tanto da sembrare decisamente più grande del gemello. “Non possiamo rimetterlo fuori in queste condizioni” mi fece notare un pomeriggio mio marito: “Oltre al fatto che è un po’ insicuro sulle gambe dà l’impressione di essere molto fragile di temperamento, timoroso, insicuro. Hai visto il fratello invece? Oltre ad essere in migliore forma fisica, corre, salta, non si mette paura quando sul balcone arrivano altri gatti a curiosare e incautamente afferra la loro coda, divertendosi a giocare. Di lui non mi preoccuperei a lasciarlo crescere con la madre ma questo ha senz'altro bisogno di cure, teniamolo!”

Forse avevo bisogno che qualcuno mi spingesse a quel nuovo passo e ne fui contenta perché da giorni ero combattuta sul da farsi e l’idea di abbandonare a se stesso il nostro assistito mi procurava un terribile senso di rimorso.

Piccolo, questo il nome datogli provvisoriamente in attesa che crescendo dimostrasse delle caratteristiche che ci ispirassero un altro nomignolo, rimase con noi fino alla fine dandoci tanto affetto e mantenendo il suo provvisorio soprannome perché mai un altro sarebbe stato più azzeccato di quello che gli avevamo dato.

Al contrario di Principe che già dai primi mesi di vita si era dimostrato intraprendente saltando sui mobili e girando per la casa in cerca di avventura, Piccolo si mostrava abbastanza tranquillo e coccolone, dormiva molte ore disteso sulle poltrone amando, ogni volta che poteva, salire in grembo a qualcuno della famiglia per farsi accarezzare. Spesso facevamo entrare in casa anche il fratello che era diventato un bel gatto grigio striato come una piccola tigre, molto indipendente perché potessero giocare insieme. La passione del giovane ospite era quella di trastullarsi con la palla che sapeva palleggiare con grande perizia per la casa non perdendola mai durante i suoi dribbling, guadagnandosi l’appellativo di Maradona. Piccolo invece, mentre il fratello si destreggiava nel gioco della palla gli saltava addosso facendogli molteplici agguati muovendosi con la sua strana andatura un po’ sghemba. Verso l’anno Piccolo era diventato un bel gattino dal pelo bianco e grigio, piuttosto snello e con dei grandissimi occhi chiari ingenui ed interrogativi. Era piuttosto curioso e soprattutto attirato dai vari odori della casa per i quali mostrava un grande interesse andando ad annusare e curiosare in tutti gli angoli. Malgrado non avesse manifestato voglia di scendere in strada e non avesse mai marcato il suo territorio, decidemmo di sterilizzarlo, l’esperienza di Principe ci aveva insegnato che se volevamo che Piccolo rimanesse tranquillo in casa bisognava compiere questo passo anche se ci dispiaceva di privarlo della sua virilità. Così lo portammo dal veterinario di fiducia che ci ribadì che era una decisione saggia: Piccolo non ne avrebbe risentito affatto e per giunta avrebbe vissuto meglio e più a lungo. Confortati, ci sentimmo in pace con la coscienza.

 Essendomi occupata per parecchio tempo di gatti oltre aver imparato tante cose sulle loro abitudini e su come capirli ed interagire con loro quello che ancora mi sorprende ogni volta che entro in diretto contatto con qualcuno di essi è la loro unicità: come ogni individuo sia diverso per carattere, gusti, abitudini, così come avviene fra gli esseri umani che pur appartenendo alla stessa specie si differenziano in mille modi. Per chi non li conosce altro che esteriormente sono tutti uguali, differenziandosi soltanto per la taglia, il colore degli occhi o del pelo, per la provenienza o per il loro pedigree, se discendono da sacri lombi, ma chi li conosce bene sa che non è affatto così. Ad esempio Damina era docile e vezzosa, conosceva l’arte di conquistarti con le sue le sue moine, amava stare in casa al calduccio, prediligendo il pesce a qualsiasi altro alimento. Principe, invece, indipendente, avventuriero, testardo, era al tempo stesso affettuoso e capace di mille tenerezze nei confronti di chi aveva scelto come suo capo. Quando ritornava dalle sue innumerevoli scorribande amorose per farsi perdonare oltre a strusciarsi ripetutamente alle mie gambe, mi dava sulle caviglie e sui polpacci dei piccoli delicati morsi in segno di grande affetto e riconoscenza per averlo riaccolto in casa senza strillarlo come il figliol prodigo. Principe amava il petto di pollo e tutto al più qualche scatoletta di tonno di buona qualità, altrimenti era capace di rimanere digiuno per tutta la giornata fino a quando non soddisfacevamo i sui gusti. Samantha, al contrario, è sempre stata imprevedibile, lunatica, dispettosa, chiacchierona, sempre pronta a miagolare con un tono di rimprovero in ogni situazione da lei ritenuta lesiva nei suoi confronti ed inoltre timorosa dei suoi simili dai quali si tiene alla larga dopo averli avvisati con ripetute soffiate. Per lo più inappetente ama stuzzicare l’appetito con cibi raffinati, preferendo piccoli assaggi da gran gourmet. Fumè, estremamente paurosa, sospettosa di tutto e di tutti, ma anche tanto bisognosa di affetto e di coccole, vissuta volontariamente segregata in una stanza e su di un tetto di un garage, era perennemente affamata, capace di spazzolare velocemente una grande quantità di cibo di qualsiasi genere forse per sopperire alle carenze di affetto. Tappetino, la gatta del mare, come ho già avuto modo di dire, era una madre eccezionale, null'altro le interessava che l’allevamento dei suoi piccoli per i quali si toglieva il pane di bocca, essendo i primi bocconi sempre per loro. Camilla assai altezzosa, dava poco confidenza e anche se le offrivi da mangiare cibi prelibati manteneva sempre un tono di distacco come non volesse dare soddisfazione e soprattutto sentirsi debitrice di ringraziamenti. Piccolo al contrario è sempre stato un gran coccolone, ingenuo, affettuoso un po’ sprovveduto, quando sentiva lo scatto dell’apertura di una scatoletta che collegava al momento del pranzo o della cena accorreva in cucina con quel suo strano modo di muoversi che ce lo faceva amare ancora di più. Non era capriccioso nel mangiare ma si accontentava di ciò che gli si dava salvo  gradire una certa varietà come del resto tutti i gatti che non amano che gli si ripropongano sempre le stesse cose.

 Lentamente Piccolo conquistò un posto importante nella nostra famiglia colmando il vuoto che aveva lasciato Principe facendosi amare proprio per la sua remissività e per il modo infantile, se questo aggettivo può essere usato per un animale, con cui si proponeva. Dopo qualche anno che si trovava da noi, a seguito di una visita di controllo, scoprimmo che aveva problemi renali. Di fronte alla mia preoccupazione il veterinario cercò di minimizzare la portata della malattia dicendomi che con una alimentazione particolare la funzionalità dei reni non si sarebbe compromessa più di tanto e che quindi sarei potuta stare serena. Comprai subito gli alimenti che il veterinario mi aveva prescritto e con molta fatica riuscii a farli accettare a Piccolo che inizialmente non ne voleva sapere costringendomi qualche volta ad interrompere la dieta per dargli qualcosa più gradita, vedendolo a volte triste e sconsolato davanti al suo piattino con la porzione dietetica assai poco invitante. Lo sapevo che il medico pietoso fa la piaga puzzolente ma è difficile curare gli animali e i veterinari non se ne rendono conto; ti prescrivono questo e quell'altro medicinale e poi sei tu che gli devi aprire la bocca e schiaffargli dentro una pastiglia, riportando graffi a destra o a manca, mettergli il collirio negli occhi, convincerlo a tenere il collare per non togliersi i punti di una sutura, evitando che con le zampe non cerchi in qualche modo di toglierselo, o ancora fargli un’ iniezione, mentre il malcapitato per quanto tenuto da qualcuno si dimena come un pazzo. Certo non gli puoi dire: “Non ti preoccupare, non ti farò del male.” Oppure: “Sentirai un po’ di dolore ma stai tranquillo è per il tuo bene e passerà in fretta!" Storie! Curare un animale è molto difficile e bisogna avere una grande dose di pazienza.

 Quando il veterinario con il suo tono accattivante ti illustra quali medicine somministrare al tuo animale ammalato, come se fosse la cosa più semplice di questo mondo, tu già in quel momento sai che ti si presenteranno tempi duri e che non sempre sarà possibile seguire la terapia perché il più delle volte il veterinario non è un etologo e pur essendo bravo nell'individuare la malattia e le relative cure, non si rende conto che cosa significhi interagire con lui.

 Le difficoltà già iniziano quando si deve portare il proprio animale dal veterinario, perché tutti indistintamente hanno un sesto senso per percepire che stanno andando in un luogo di cui c’è poco da fidarsi. Infilarli poi nella gabbietta è un'impresa e per tutto il viaggio spesso miagolano e si lamentano. Nella stanza di aspetto del veterinario poi si assiste ad uno spettacolo tragicomico. I gatti nelle gabbie acquietati dalla paura rimangono immobili con gli occhi dilatati tranne naturalmente quelli che assai malati non danno segno di vita, mentre i cani entrano trascinati a forza dai loro padroni, guaendo o abbaiando. Alcuni avendo riconosciuto il posto puntano talmente forte le zampe anteriori a terra che, se sono bestie grosse, ci vuole del bello e del buono per riuscire a farli entrare. Se la stanza è piccola tutti si sentono un po’ in imbarazzo soprattutto gli accompagnatori dei gatti che sono costretti a mettersi le gabbie in grembo per allontanare il proprio micio dal cane del vicino che abbaia a più non posso, mentre  il padrone mortificato cerca invano di metterlo a cuccia.

 Dopo i primi momenti di difficoltà, mentre gli animali continuano l’attesa diffidenti e in ansia, fra i padroni si crea un rapporto di grande complicità, ognuno chiede  all'altro perché la sua bestiola sia stata portata dal medico e se si viene a sapere che le condizioni di qualche animale sono gravi o che qualcuno di essi è stato portato per essere soppresso si partecipa vivamente al padrone il proprio dispiacere.

 Tutti raccontano le loro esperienze, qualcuno distribuisce consigli, qualcun’altro si commuove parlando del suo piccolo amico che ormai molto avanti negli anni lo lascerà solo senza più nessuno a fargli compagnia. Quando arriva finalmente il proprio turno dopo una lunga attesa quasi quasi ci si dispiace di lasciare una compagnia così piacevole e ci si saluta come vecchi amici scambiandosi i migliori auguri per la salute del proprio animale, un po’ timorosi di affrontare la visita come il nostro animale che nel frattempo ha ripreso a lamentarsi.

 Piccolo, malgrado la dieta prescritta dal veterinario, dopo qualche mese di apparente miglioramento, improvvisamente si aggravò e il medico ci comunicò che non  sarebbe vissuto a lungo; avremmo potuto soltanto alleviargli le sofferenze per alcuni mesi iniettandogli giornalmente sotto pelle una grande quantità di soluzione fisiologica insieme ad alcune medicine in un enorme siringone che avrebbero aiutato per un po’ la funzionalità renale.

Pur di farlo stare meglio, illudendoci di prolungargli la vita sottoponemmo Piccolo a quella  giornaliera tortura. Mio marito con grande pazienza imparò ad iniettare queste sostanze molto lentamente affinché il contenuto della siringa venisse assorbito al meglio, ma tante volte sul dorso di Piccolo rimaneva un grosso rigonfiamento che molto lentamente scompariva.

Piccolo mentre lo tenevo fermo, ogni giorno sopportava questa tortura con rassegnazione, rimanendo sdraiato a pancia sotto sul tavolo di cucina, attendendo che l’iniezione si concludesse. Sembrava che capisse che tutto era fatto per il suo bene e allora ci guardava con i suoi grandi occhioni stupiti come a chiedere quando sarebbe finita quella odiosa operazione. Se Piccolo accettava le cure con una certa rassegnazione riponendo in me e in mio marito una grande fiducia, essendo per fortuna inconsapevole della sua sorte, per noi era diventato un incubo dovere ogni giorno provvedere all’iniezione che andando avanti nei mesi divennero addirittura due, una al mattino e una alla sera poiché una non era più efficace.

 Quando mio marito era fuori per lavoro per alcuni giorni di fila dovevamo trovare dei sostituti per le iniezioni e ciò naturalmente creava un certo disagio. Ogni nostro programma, ogni impegno doveva sempre fare i conti con la malattia di Piccolo. All'ultimo controllo il veterinario dopo aver esaminato le analisi del sangue ci confermò che la fine di Piccolo era imminente e che appena avremmo osservato alcuni comportamenti insoliti avremmo dovuto, solo in quel caso, portarlo all'ambulatorio per l’eutanasia perché altrimenti avrebbe molto sofferto.

 Inutile dilungarsi nel descrivere le ultime settimane di vita di Piccolo  sarebbe troppo doloroso per la scrivente ma anche per chi si sta cimentando nella lettura di questa storia, basta dire che quando giunse il momento di portarlo dal veterinario era domenica ed io e mio figlio Gabriele, l’unico che in famiglia aveva avuto il coraggio di accompagnarmi, dovemmo rivolgerci ad un ambulatorio di pronto soccorso. Sembra un destino, ma spesso alle sventure si unisce la difficoltà di non trovare disponibili strutture per l’assistenza. Comunque i medici del centro furono abbastanza gentili anche se piuttosto insensibili di fronte alla nostra evidente commozione. Ci fecero accomodare in una piccola stanzetta dicendoci che  prima avrebbero fatto a Piccolo un’iniezione per addormentarlo e poi, quando questa avesse fatto il suo effetto, quella letale: Piccolo sarebbe passato al sonno eterno senza accorgersi di nulla. Rimanemmo vicino a lui per tutto il tempo accarezzandogli il capino fino a quando ci rendemmo conto che ci aveva lasciato per sempre, allora uscimmo mesti dalla stanza con gli occhi colmi di lacrime per ottemperare alle formalità. Poco dopo con la gabbietta vuota ci dirigemmo alla macchina con una stretta al cuore senza voglia di parlare, sapendo che quel dolore sarebbe durato a lungo e che il vuoto lasciato da Piccolo non si sarebbe colmato.

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