9. In cerca di aiuto



Da quando avevo iniziato a curarmi dei gatti mi ero dovuta rendere conto di quante persone esistono che godono a far loro del male e di quanta malvagità siano capaci certi individui che si dichiarano civili; prima infatti non me ne ero mai accorta di persona, tutto al più per sentito dire, perché avevo vissuto in un ambiente dal quale gli animali erano totalmente esclusi. Ma dal momento in cui avevo accettato che entrassero nella mia vita mi sono resa conto di come queste creature possano riempire le giornate di affetto, fedeltà, riconoscenza solo per il fatto che qualcuno si prenda cura di loro e gli dedichi un po’ di tenerezza e di come il vederle soffrire possa coinvolgerti al punto di non poter assistere indifferente alle loro richieste di aiuto, spingendoti  a prodigarti per loro ogni qual volta  se ne presenti la necessità.

A tale proposito una mattina molto fredda di febbraio sentii provenire dal balcone un acuto miagolio, aperta la finestra vidi alzarsi con fatica dal cesto in cui si era rifugiato Grigio dal pelo folto e dal collare bianco. Era molto tempo che non lo vedevo pur sapendo che viveva nella colonia del quartiere e rimasi sorpresa che si fosse rifugiato nel cesto e piangesse in modo così lamentoso. Grigio pur essendo nato con molta probabilità da Postulante ed avendo come sorella Samantha, aveva preferito l’indipendenza e assai raramente si univa ai frequentatori del mio balcone. Quando aveva circa sei mesi aveva iniziato ad essere indipendente e ad unirsi agli altri gatti fra i quali spiccava per il suo manto grigio chiaro leggermente venato d’argento e ogni tanto lo si poteva incontrare nel giardino condominiale o intento ad attraversare la strada. Quella mattina, invece, avvicinatosi a me e lamentandosi così insistentemente sembrava volesse chiedere aiuto. Lo osservai allora con più attenzione e vidi che era in un pessimo stato: il pelo era tutto arruffato e dritto sulla pelle, il muso sporco e dalla bocca gli pendeva della saliva rappresa, abbassatami al suo livello per accarezzarlo e per offrirgli del cibo, pensando che il suo stato dipendesse dalla denutrizione, sentii che emanava un pessimo odore e infine mi resi conto che era gravemente ferito. Aveva una ferita ad una zampa e un profondo squarcio all'ano dal quale fuoriusciva sangue, siero e feci. Capii che non c’era un minuto da perdere perché le condizioni di Grigio erano critiche e bisognava intervenire subito e questa certezza era data dal fatto che il gatto rifiutava di mangiare e di bere e che dopo essersi alzato dalla cuccia per chiedere aiuto subito dopo si era accucciato ai miei piedi e mi guardava con due occhi imploranti e fiduciosi. Rientrai in casa e chiamai mio marito e anche lui alla vista di Grigio rimase impressionato dalle sue condizioni non riuscendosi a spiegare come avesse potuto procurarsi quella terribile ferita all'ano. Pensammo tutti e due guardandoci negli occhi che potesse essere opera di qualche malvagio seviziatore di gatti e il nostro pensiero andò al tanto vituperato napoletano che la signora Marcella riteneva responsabile di qualunque crudeltà nei confronti degli animali, ma erano solo supposizioni e noi dovevamo soccorrerlo altrimenti sarebbe stato troppo tardi.

“Ma è Domenica” dissi a voce alta a mio marito, “sarà difficile trovare un veterinario che possa prendersi cura del Grigio”. “Telefona alla signora Marcella”, mi suggerì, “vedrai che saprà a chi indirizzarci, è una miniera di informazioni a riguardo”. Anche se un po’ titubante mi apprestai a comporre il numero della mia dirimpettaia, sapendola molto ansiosa non volevo darle una notizia del genere che l’avrebbe sicuramente molto agitata, ma avendo bisogno del suo aiuto la chiamai. Come da me previsto fu molto turbata che il Grigio fosse ferito anche perché fino a qualche giorno prima mi disse di averlo visto in buone condizioni mangiare insieme agli altri gatti della colonia che a lei facevano riferimento. Ma dopo alcuni secondi di silenzio durante il quale pensai che avesse interrotto la comunicazione, proruppe: “Ma è stato sicuramente il napoletano, lei non può immaginare di quali nefandezze è capace quell'uomo”. “Si, so da lei di alcuni incresciosi episodi” la anticipai cercando di evitare l’elenco delle malefatte del suo nemico che stava sul punto di iniziare, “ma in questo momento bisogna pensare a soccorrere Grigio ed io le ho telefonato per sapere se è a conoscenza di un ambulatorio veterinario aperto anche di giorno festivo”.

La signora incominciò allora ad elencarmi tutti i veterinari di sua conoscenza, ma su di ognuno aveva una critica da avanzare: uno aveva un ambulatorio sporco e una sua bestiola aveva preso un’infezione, un altro aveva dei modi molto bruschi da terrorizzare i suoi assistiti, un altro ancora era molto venale. Pochissimi godevano della sua fiducia ma quei pochi non erano disponibili di domenica. Alla fine quando le stavo per ricordare che non c’era un minuto da perdere perché le condizioni di Grigio erano gravi, mi dette l’indirizzo di un giovane medico, che pur non essendo a suo dire eccezionale, era abbastanza gentile e disponibile ad intervenire la domenica. Aggiunse che l’avrebbe avvisato telefonicamente e che conoscendola avrebbe sicuramente aperto l’ambulatorio per visitarlo. Non rimaneva che prendere Grigio e metterlo in gabbia e questa idea mi provocò un po’ di agitazione pensando alle storie che ogni volta Principe faceva quando ve lo dovevamo rinchiudere. Grigio invece non fece nessuna resistenza, si fece sollevare da terra ed infilare nella gabbia senza un lamento, stava talmente male che le forze lo avevano abbandonato e non avrebbe potuto reagire neanche se avesse voluto. Per tutto il percorso in auto non si mosse, rimanendo fermo immobile nella posizione iniziale aprendo di tanto in tanto gli occhi che teneva socchiusi, guardandoci senza timore come se capisse mentre gli parlavo che stavamo facendo qualcosa per lui.  E proprio per rassicurarlo gli parlai con tono calmo e affettuoso per tutto il tragitto mentre lui socchiudeva gli occhi fino a ridurli a due fessure in una specie di dormiveglia. Con l’esperienza avevo compreso che quando gli animali sono preoccupati e sofferenti riescono a calmarsi se si parla loro con dolcezza. Questa mia intuizione aveva trovato conferma quando un giorno recatami dal mio veterinario per far sterilizzare un randagio, il medico mi aveva consigliato di parlargli in modo rassicurante durante l’intervento per fargli coraggio e rasserenarlo. Giunti a destinazione trovammo il veterinario ad accoglierci all'ambulatorio e che tenne a sottolineare subito che lo aveva aperto solo per fare una cortesia alla signora Marcella che conosceva da alcuni anni. Era piuttosto giovane, allampanato e non molto cordiale, ma sembrava sapesse il fatto suo, visitò il gatto con molta attenzione e fece intendere che le condizioni di Grigio non erano buone tuttavia avrebbe suturato le ferite alla zampa e all'ano e sottoposto il gatto ad una serie di analisi e ad una ecografia per vedere che non avesse lesioni interne inoltre ci disse che era indispensabile il ricovero in quanto aveva bisogno di reidratarlo e alimentarlo con delle flebo avendo perduto sangue e liquidi.

Mentre ci stava congedando, assicurandoci che avrebbe fatto tutto il possibile per salvarlo gli chiesi: “Che idea si è fatto riguardo alle ferite? Pensa che possano essere di qualche seviziatore di animali o che il gatto si sia provocate le lesioni da solo?”

“Veramente non è facile in questo caso dire con esattezza cosa abbia provocato le ferite ma comunque non mi stupirei se fossero state inferte da qualcuno volontariamente.” Rispose, continuando ad osservare Grigio. “Da quando svolgo questa professione ho visto troppi animali torturati e seviziati in modo così malvagio che lei non può neanche immaginare”. Capii che il medico non  si voleva pronunciare sulle condizioni di  Grigio prima di iniziare le analisi e non volli più insistere ma uscendo gli chiesi quando pensava che lo avremmo potuto riportare a casa. “E’ prematuro fare una prognosi con così pochi elementi a disposizione, mi chiami domani nel pomeriggio e forse le saprò dire qualcosa”, concluse accompagnandoci alla porta. Io e mio marito rimanemmo alquanto delusi, avremmo voluto che il veterinario ci avesse rassicurato e detto che Grigio si sarebbe rimesso presto e che non ci dovevamo preoccupare ma avviliti e pieni dubbi ritornammo a casa.

 Trascorsi il tempo che mi separava dalla telefonata del veterinario cercando di non pensare a Grigio ma di tanto in tanto mi tornava in mente e mi appariva nella posizione in cui lo avevo lasciato in gabbia: afflosciato in un angolo, con il pelo arruffato, gli occhi tristi e imploranti aiuto. Il veterinario chiamò la mattina seguente prima del previsto per darci una brutta notizia. “Le ho telefonato per dirle che gli esami hanno evidenziato delle lesioni agli organi interni molto gravi e che per il gatto non ci sono speranze, per non farlo soffrire sarebbe meglio ricorrere all'eutanasia, ma ho bisogno del suo consenso”. Rimasi senza parole, non solo la notizia mi aveva prodotto una stretta al cuore, un senso di vuoto, di smarrimento, ma ora il pensiero di dover prendere una decisione così odiosa, decidere della vita di un altro essere, mi sgomentava. “E’ un animale, non un essere umano, non devo lasciarmi prendere dalle emozioni” pensai e con un grande senso di colpa risposi: “E’ proprio sicuro dottore che non ci sia nulla da fare? Guardi che sono disposta a tenerlo ricoverato per tutto il tempo che sarà necessario. “Non intervenire è solo prolungargli le sofferenze” sentenziò sicuro ed io fui costretta ad autorizzarlo.

 Questa esperienza mi turbò profondamente e per alcuni giorni non riuscii a far altro che pensare al povero Grigio che aveva riposto in me tanta fiducia venendomi a cercare e come io non ero stata in grado di salvarlo. Ed inoltre mi sentivo in colpa per non aver avuto il coraggio di essergli stata vicino nel momento del trapasso ma di aver delegato tutto al veterinario. Compresi in quella circostanza perché alcune persone per non soffrire escludono dalla loro vita gli animali e non mi sentii in coscienza di condannarli.

Intanto Principe continuava la sua vita di sempre alternando lunghi periodi di riposo in casa a frenetici mesi in caccia di femmine durante i quali le sue apparizioni per rifocillarsi erano veramente fugaci. Un anno, trascorso il periodo degli amori, costatai che si era dimagrito più del solito, che   stentava a riprendere peso anche dopo un mese di tranquillità e che, dopo aver addentato qualche boccone, improvvisamente rinunciava al suo pasto pur manifestando appetito. Pensai che potesse avere i vermi o qualche piccola infezione contratta stando a contatto con gatti randagi e mi riproposi di portarlo quanto prima dal veterinario per un controllo. Ma durante le festività di Pasqua le sue condizioni generali mi parvero così compromesse che decisi di non attendere oltre. Purtroppo il mio veterinario era in ferie ed mi dovetti rivolgere ad un ambulatorio di pronto soccorso poco distante dal mio quartiere, reperito sulle pagine gialle.

Il veterinario di turno, dai modi piuttosto spicci e non molto accattivante, dopo averlo visitato e non riscontrando in apparenza nulla di particolarmente significativo da giustificare il suo stato di deperimento, decise di fare un prelievo di sangue, che immediatamente analizzato, evidenziò, a suo giudizio, una forma di AIDS felina.

 Io e mio marito rimanemmo sconcertati perché non eravamo al corrente che anche i gatti potessero sviluppare una simile malattia e soprattutto perché non conoscevamo quali fossero le conseguenze. È pericolosa come quella che colpisce gli uomini e lentamente può portare alla morte” rispose il veterinario senza mezzi termini alle mie domande, “somministrandogli, però, dell’Interferone, che io posso procurarle, gli effetti della malattia possono essere ritardati.” Speranzosi che il farmaco potesse essere efficace, senza badare alla spesa, dal momento che era un preparato alquanto costoso, lo acquistammo e pagata la parcella del medico, anch’essa piuttosto salata, ce ne tornammo a casa estremamente avviliti.

La diagnosi che Principe avesse contratto l’AIDS felina però non mi convinceva perché i gatti della colonia erano tutti in buona salute e parlandone anche con la signora Marcella ne ebbi la conferma perché pure lei sostenne che fra i suoi assistiti non vi erano stati decessi per malattia né tanto meno bestiole che si mostrassero debilitate.

Decisi allora di riportare Principe dal veterinario di mia fiducia per vedere se il medico confermasse la diagnosi. Dissi che durante la sua assenza avevo portato per un controllo il gatto in un ambulatorio di pronto soccorso e che gli avevano diagnosticato l’AIDS felina proponendomi come cura l’Interferone.

Il veterinario non fece nessun commento al mio discorso limitandosi a visitare con molto scrupolo Principe e a sottoporlo ad un prelievo del sangue. Al termine, dopo aver letto i risultati, con aria molto seria mi disse: “Principe non ha l’AIDS, è deperito perché si alimenta poco e questo è dovuto al fatto che ha dolore ai denti, è pieno di tartaro e per giunta ha un ascesso dentario che gli ha prodotto un’infezione, basterà inciderlo e somministrargli per qualche giorno dell’antibiotico che tornerà vispo come prima. Infatti dopo qualche giorno dall'incisione Principe ricominciò a mangiare e in breve tempo riprese la sua solita vita movimentata, come se nulla fosse successo. Mi rimase solo la delusione di essere stata molto ingenua ad essermi fidata di un centro veterinario i cui responsabili, vuoi per imperizia, ma probabilmente più per disonestà, approfittando del mio stato d’animo avevano fatto una diagnosi sbagliata. Ma la lezione mi servì per l’avvenire a non rivolgermi a persone non presentate da fonti qualificate.  

Qualche tempo dopo però, eravamo alle porte della primavera, Principe non si fece vedere per tutto un giorno e neanche la notte seguente si presentò miagolando sotto le finestre di mio figlio per farsi aprire; rimanemmo un po’ sorpresi della sua assenza ma non eccessivamente preoccupati perché in altre due occasioni era rimasto fuori casa senza lasciare traccia per alcuni giorni, ricomparendo all'improvviso quando avevamo ormai perso ogni speranza. Ma in quella occasione i giorni trascorrevano senza che noi riuscissimo a trovare qualche indizio del suo passaggio. Perlustrai a turno con i miei figli tutti i giardini condominiali del quartiere allargando il raggio di ricerca molto più in là dei luoghi che i gatti della colonia frequentavano, nella speranza che avesse sconfinato andando dietro a qualche gatta in calore, ma tutto fu vano. Neanche i portieri dei condomini vicini, che ormai lo conoscevano, mi seppero dare qualche notizia. Allora nella mia mente si fece strada l’idea che potesse essere stato investito da qualche auto mentre era intento ad attraversare la strada e così incominciai a controllare sotto le auto o nelle cunette sotto i cigli dei marciapiedi, chiedendo agli operatori ecologici se avessero raccolto qualche gatto morto in quei giorni, ottenendo soltanto risposte negative. Tappezzai di volantini tutto il quartiere con la foto di Principe chiedendo a chiunque lo avesse visto di darne informazione in cambio di lauta mancia, ma nessuno si fece vivo.

 Principe non tornò mai più, lasciandoci sgomenti e con un grande senso di vuoto perché la scomparsa di una bestiola che ha vissuto otto anni della sua vita con te, regalandoti tanto affetto e segnando le ore del giorno e della notte con le sue metodiche abitudini è difficile da dimenticare. Per molti mesi appresso alla sua scomparsa mi svegliai nel mezzo della notte con l’impressione che piangesse sotto le finestre per farsi aprire, molte volte insegui per strada una coda folta simile alla sua, intravista muoversi in mezzo alle piante di un giardino, molte volte credetti di riconoscerlo di lontano in una povera carcassa abbandonata presso un cassonetto. Solo coloro che hanno perso un animale o lo hanno visto morire possono comprendere il dolore della loro perdita, per gli altri è incomprensibile che se ne possa essere così coinvolti.

Il dispiacere di noi tutti fu talmente grande che ognuno in cuor suo si ripropose di non affezionarsi più in modo così viscerale ad un animale e quindi di non prenderne altri in casa anche perché sembrava impossibile poterci affezionare nuovamente a qualcuno che non fosse Principe.

Continuavamo però ad occuparci degli altri gatti che venivano abitualmente a richiedere cibo e coccole sul nostro balcone, di Samantha, di Damina e di Fumè e di alcuni altri figli di Postulante e molti altri non stanziali ma, che di passaggio si fermavano qualche tempo nel grande cesto o nell'igloo per riprendersi da qualche infreddatura o per rifocillarsi dopo un periodo triste di randagismo. E naturalmente a recarci una volta al mese alla nostra villetta al mare per rifornire di scatolette chi si occupava della colonia marina. Ormai il custode era andato in pensione ed io avevo avuto la possibilità di sostituirlo con la signora Lucia, una nativa del posto, che avevo avuto la fortuna di conoscere mentre un giorno si era fermata al cancello di casa per osservare i miei gatti. In quella occasione avevo anche appreso da lei che già da qualche tempo si occupava spontaneamente di loro medicando qualche occhio infetto o dando delle medicine a quei gatti che le sembravano più malandati, essendosi resa conto dell’incapacità del custode. Lucia fu la manna scesa dal cielo per me che non avrei saputo come provvedere alla colonia, ma soprattutto per i gatti marini. Ad essi infatti si dedica con grande affetto e competenza portando loro ogni giorno da mangiare, curandoli con professionalità, facendo fare loro la convalescenza in casa sua ogni qual volta stanno male o quando dopo una sterilizzazione le femmine hanno bisogno di alcuni giorni di convalescenza. È un impegno gravoso quello di occuparsi di questa colonia sia per me che mi sobbarco di tutte le spese, sia per la mia collaboratrice, ma quando si inizia a farsi carico di una qualsiasi iniziativa a favore degli animali è poi impossibile sottrarsi, perché il pensiero di abbandonarli al loro destino è insopportabile.

 Un paio d’anni prima della scomparsa di Principe era anche morto Codamozza, non fu una fine improvvisa la sua, ma annunciata da tanti piccoli segnali che comunque avevano fatto capire che il vecchio boss non era più in gran forma e che tuttavia non facevano presagire che la fine fosse imminente. Infatti si era fatto più lento nei movimenti, il manto aveva perso la lucentezza dei primi anni in cui lo avevo conosciuto, per diventare opaco e in alcuni punti con delle chiazze prive di pelo, spesso poi aveva un pezzo di lingua a penzoloni fuori dalla bocca. Molte volte saliva sul mio balcone e rimaneva per ore in un vaso al sole fermo immobile. Gli altri gatti se ne tenevano a distanza non perché ne avessero paura come un tempo, probabilmente perché annusandolo sentivano che era ammalato e per rispetto lo lasciavano in pace.

Un giorno che stavo dietro i vetri lo vidi saltare sul balcone con estrema difficoltà e pochi attimi dopo stramazzare a terra in preda a delle specie di convulsioni. Corsi fuori per soccorrerlo poi, ricordatami che di esso si occupava la mia dirimpettaia la chiamai dal balcone a gran voce. Fortunatamente era in casa il figlio della signora, un giovanotto gentile e disponibile, che si prestò subito a venire a prendere il gatto per portarlo dal veterinario. Qualche giorno dopo però, seppi che purtroppo per Codamozza non c’era stato niente da fare.

Damina, la vezzosa, invece, riuscì a farsi adottare; una mattina infatti mi chiamò la signora Marcella tutta agitata come il suo solito dicendo: “Le ho telefonato perché pensavo che fosse in pensiero non vedendo la Susi da qualche giorno e per ciò la volevo rassicurare che sta da me”. Caddi dalle nuvole perché sul momento non avevo la ben minima idea di chi fosse la Susi poi, andando avanti nel parlare, dalla descrizione della gatta capii che si trattava di Damina, chiamata dalla signora Marcella, Susi. “Sa, la gattina è molto freddolosa e soffre troppo a stare fuori d’inverno e poi è così insistente nel voler entrare in casa che non ho avuto il coraggio di dirle di no anche se ormai in casa ne ho una decina e il mio appartamento e molto piccolo, ma se la vuole tenere in casa lei me lo dica” aggiunse salutandomi. La rassicurai dicendole che ero ben felice che Damina, alias Susi, avesse trovato una casa ospitale e che non doveva assolutamente preoccuparsi. La signora si mostrò sollevata e dopo qualche tempo mi mandò tramite portiere una bella fotografia di Damina sdraiata come un pascià in un accogliente cestino.

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