7. La più bella del reame: Samantha
Quando tornavo dalle vacanze non passava
qualche ora che ricevevo la telefonata della signora Marcella molto contrariata
che mi faceva le sue rimost
Con il passare del tempo il numero dei
gatti che si presentava sul mio balcone in cerca di cibo aumentò ed un giorno
capitò una femmina nuova agile e scattante, dal manto integralmente nero, non
ero sicura della sua origine ma ebbi l’impressione che fosse figlia di
Postulante insieme ad un altro maschio molto bello, grigio con un collare di
pelo bianco. La gatta non era molto socievole all'inizio, infatti quando le lasciavamo
del cibo fuori del balcone aspettava che noi chiudessimo la porta finestra
prima di avvicinarsi per mangiare, dimostrandosi molto guardinga anche nei
confronti dei suoi simili con i quali sembrava andare poco d’accordo da come li
teneva alla larga soffiando e mandando fuori degli acuti miagolii. Solo dopo
qualche tempo acquistò un po’ di fiducia così da non ritrarsi quando le davamo
da mangiare ma comunque evitando di farsi accarezzare. Lentamente prese
confidenza con mio figlio e soltanto da lui incominciò a farsi coccolare, mio figlio era entusiasta della sua gatta e spesso ne elogiava l’eleganza del
portamento e la snellezza delle forme dicendo che fra tutte le gatte della colonia era l’unica ad avere
l’incedere di una top model. Trovarle un nome non fu difficile
perché oltre all'eleganza delle sue movenze, da lei si era attratti dallo
sguardo magnetico, dagli occhi gialli e brillanti che di notte sembravano quasi
rischiarare il buio con i suoi bagliori luciferini, e proprio per questo suo
sguardo da piccola strega venne chiamata Samantha, come la spiritosa
protagonista di una serie di telefilm seguiti dai miei ragazzi alla televisione, che sotto le sembianze di una graziosa mogliettina nascondeva il segreto di
essere una strega dagli imprevedibili poteri che non sempre riusciva a tenere
sotto controllo con le conseguenze più imprevedibili.
Mentre i gatti di cui mi occupavo erano
abbastanza autonomi perché andavano e venivano sul balcone a loro piacimento,
Damina, ma soprattutto Samantha divennero delle habitué tanto che
trascorrevano sul balcone buona parte del loro tempo acciambellate nei vasi da
fiori nella bella stagione, nascoste nei loro igloo durante l’inverno. Malgrado
Samantha non incoraggiasse gli approcci dei maschi per il suo carattere
piuttosto bisbetico, un giorno di primavera inoltrata ci accorgemmo un po’
meravigliati che era incinta e abbastanza prossima al parto. Quando sgravò nel
famoso cesto sul terrazzo vidi che erano nati solo due piccoli, uno scuro come
la madre e uno grigio, apparentemente in discrete condizioni. Ma Samantha non
si rivelò una buona madre come al suo tempo Baffetta, forse perché alla sua
prima esperienza, e invece di rimanere nel cesto tranquilla pensando soltanto
ad allattarli dopo pochi giorni incominciò a spostarli in continuazione da un
vaso ad un altro, lasciandoli spesso soli, esposti per parecchie ore al sole di
giugno nelle ore più calde. Molte volte cercai di spostarli approfittando di
qualche sua assenza e di rimetterli nel cesto, ma poco dopo la madre afferratili
per la collottola li riposizionava nel luogo da cui li avevo spostati. Tentai
un paio di volte di andare in soccorso dei cuccioli ma alla fine dovetti desistere
di fronte alla cocciutaggine della madre. Qualche tempo dopo, quando i micetti
avevano incominciato a muovere i primi passi, sentii provenire dei flebili
miagolii dal giardino sottostante, mi precipitai sul balcone in preda ad un triste
presentimento e non avendo trovato i piccoli nei luoghi abituali compresi che
erano finiti di sotto, malgrado avessi schermato l’inferriata per proteggerli.
Scesi immediatamente le scale e bussai alla porta dell’appartamento sottostante
al mio spiegando all’inquilino che mi era venuto ad aprire che cosa era
successo e se mi consentiva di accedere nel suo giardino per soccorrere i
piccoli. Mi fece entrare e dopo qualche ricerca riuscii ad individuarli semi
nascosti da alcuni cespugli di rose. Li soccorsi e li portai nel mio
appartamento accorgendomi però che il gattino nero non doveva stare bene perché
non reagiva alle mie stimolazioni, purtroppo poche ore dopo morì, probabilmente
a seguito della brutta caduta. Rimaneva il grigio che io cercai di riaffidare
alla madre, ma con grande sorpresa dovetti costatare che Samantha non ne voleva
sapere di accudire il piccolo, infatti dopo averlo annusato a lungo gli aveva
girato le spalle ignorandolo completamente per tutto il giorno. Fui così
costretta ad occuparmene mio malgrado e una volta portato in casa mi accorsi
che era una femminuccia. Mi riproposi però di accudirla finché non fosse stata
più autonoma e di rimetterla sul balcone insieme agli altri appena possibile. I
mesi che seguirono furono decisamente difficili per noi tutti perché Principe,
quando si trovò in casa la gattina, incominciò a dimostrarsi aggressivo nei suoi
confronti per gelosia e un giorno si permise di fare la pipì in casa sotto ai
miei occhi, guardandomi fisso per sfida, dimostrando in questo modo tutto il
suo disappunto. Fui cosi obbligata a chiudere Fumé, questo era nome che nel
frattempo le avevamo dato, in una stanza per sottrarla alle pericolose
attenzioni di Principe.
Fumé trascorse i primi mesi segregata
nel mio studio, riducendolo in uno stato pietoso perché annoiandosi senza una
compagnia, trascorreva il tempo grattando la carta da parati o facendosi le unghie
sulle gambe delle sedie.
Verso i cinque mesi era diventata una
bella gattina dal pelo grigio come i certosini, piuttosto piccola per l’età ma
proporzionata, con due occhi tondi molto vivaci ma che esprimevano una grande
paura verso tutto e tutti. Poiché non poteva continuare a vivere in una stanza
e non essendo possibile lasciarla libera per casa per l’incompatibilità con
Principe provammo a farla uscire sul balcone con la speranza che potesse
socializzare con Damina e con la madre che nel frattempo avevamo sterilizzate,
ma Fumé appena si trovò in un ambiente a lei estraneo incominciò a lamentarsi a
graffiare al vetro della finestra per farsi aprire manifestando tutta la sua disperazione.
Fui costretta a riportarla nella sua stanza dove per qualche tempo si nascose
sotto un mobile, ringhiandomi contro ogni volta che tentavo di accarezzarla o
allungando la zampetta con le unghie sguainate in segno di avvertimento. Ci
volle un po’ di tempo prima che acquistasse nuovamente fiducia nei miei confronti
e anche più avanti quando accettò di farsi accarezzare si vedeva che non era
serena ma sempre sulla difensiva. Poiché il mio studio come la stanza di mio figlio
si affaccia sul tetto di un balcone coperto sottostante al mio appartamento incominciai
a lasciare aperta la finestra per invogliarla ad uscire e finalmente dopo
qualche tempo Fumé iniziò a fare delle fugaci passeggiate su di esso e sulla
copertura di un garage raggiungibile con un piccolo balzo. Rimaneva tuttavia
nelle vicinanze sempre pronta a saltare sul davanzale della finestra appena
avesse avuto sentore di qualche pericolo, trascorrendo tutta la sua esistenza
nella stanza nei mesi freddi e d’estate appollaiata sul tetto del garage
intenta a controllare ciò che avveniva sotto di lei nella strada, miagolando a
gran voce se per caso qualche randagio fosse capitato per sbaglio nel suo
esiguo territorio. In compenso era molto abile nella caccia e se un piccione
sprovveduto le capitava troppo a tiro Fumé con una zampata fulminea lo
ghermiva, strapazzandolo e divertendosi a giocarci fino a fargli fare una
brutta fine e portando spesso il suo trofeo nella sua cuccia. I portieri dei
palazzi limitrofi all’inizio si stupivano di vedere quella gatta vivere sul
tetto del garage o sui davanzali delle mie finestre senza mai scendere in
strada ma alla fine si abituarono a quella presenza un po’ inquietante che,
ferma come una piccola divinità egizia, li scrutava dall’alto tanto da chiedermi
sue notizie se per qualche giorno non l’avevano vista.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Commenti
Posta un commento