6. La colonia marina
Quando ormai Principe aveva circa cinque
anni incominciai ad avere una persistente tossetta, a starnutire se mi si
metteva in braccio per farsi coccolare, ad avere difficoltà nella respirazione
se durante le pulizie di casa alzavo della polvere e poiché con il tempo questi
disturbi non passavano anzi sembravano accentuarsi, consultai il mio medico che,
dopo alcuni accertamenti, mi disse di sentire il parere di un allergologo
perché i sintomi facevano pensare ad una allergia agli acari.
L’illustre specialista interpellato
confermò la diagnosi del medico di famiglia aggiungendo anche che ero affetta
anche da un’altra allergia. “Cara signora” mi disse “dalle prove allergiche è
risultato che non solo è sensibile agli acari della polvere ma anche a quelli
del pelo del gatto, ma non si deve preoccupare basta abolire ogni ricettalo di
polvere nella casa ad esempio tendaggi, tappeti, tappezzerie, cuscini,
materassi tradizionali, e naturalmente stare alla larga dai gatti che questo
disturbo potrà facilmente essere tenuto sotto controllo. “Veramente vivo in un
ambiento pieno di questi oggetti” accennai timidamente “e possiedo anche un
gatto”. “Male, molto male” rispose contrariato, “dovrà togliere tutto e
allontanare al più presto il gatto se non vuole che la situazione precipiti nel
frattempo, quando avrà provveduto a tutto ciò ci rivedremo per stabilire una
cura.”
Uscii dallo studio del medico avvilita
perché non mi sentivo affatto disposta a rinunciare al mio stile di arredamento
e soprattutto a Principe al quale eravamo tutti molto affezionati. “Cosa fare?”
Mi dicevo, mentre mogia mogia guidavo l’auto in direzione di casa, “sicuramente
consulterò un altro specialista perché mi pare impossibile che non ci sia altro
da fare.” E questa decisione mi sollevò.
Con il nuovo allergologo, raccomandatomi
da una amica, fui perentoria, gli dissi che non intendevo vivere in un ambiente
da frate trappista e tanto meno separarmi dal mio gatto, pertanto trovasse la
maniera di curare la mia allergia in altro modo.
Il medico non manifestò nessuna sorpresa,
probabilmente era abituato a trattare con pazienti un po’ eccentrici, né cercò
di farmi cambiare abitudini ma onestamente mi disse che se non volevo disfarmi
di tappeti e tendaggi avrei dovuto provvedere a far mantenere tutto
perfettamente pulito e per quanto riguardava il gatto pettinarlo e spazzolarlo
giornalmente, utilizzando anche una particolare lozione per eliminare la
forfora, ma cosa più importante avrei dovuto incominciare subito un vaccino i
cui effetti positivi si sarebbero potuti vedere soltanto con il tempo. Alla mia
domanda per quanto tempo mi sarei dovuta sottoporre al vaccino rispose che a
riguardo non vi erano indicazioni precise. Dal momento che non vi erano altre
soluzioni mi sottoposi alla cura che ancora oggi dura, ma che ha notevolmente
diminuito la mia sensibilità agli acari consentendomi con qualche attenzione di
poter continuare a tenere un gatto in casa e a circondarmi di tende, tappeti,
cuscini…insomma di un arredamento che ritengo a me congeniale.
Quando giungeva l’estate si presentava
ogni anno il problema di portare Principe fuori con noi alla casa del mare nei
pressi di S.Felice Circeo in provincia di Latina e questa era veramente
un’impresa perché capiva al volo che stavamo per partire ed immediatamente si
andava a nascondere, anche se con il tempo avevamo imparato a tener celate le
valige fino all'ultimo momento per non farlo insospettire.
Infatti percepiva dai nostri movimenti e dal
nostro nervosismo che qualcosa di nuovo stava per accadere e allora si
nascondeva nei luoghi più impensati. Abitualmente si dirigeva in tinello,
saliva sul tavolo e da lì con un balzo acrobatico finiva sul tetto della
credenza, che conserva ancora i segni delle sue unghie, da dove seguiva tutte
le nostre mosse. Quando dopo interminabili manovre riuscivamo a metterlo in
gabbia incominciava a piangere e lamentarsi; il viaggio in macchina era
traumatico per lui ma anche per me che guidavo intontita dalle sue urla.
Di solito facevo il viaggio con mia figlia che
seduta sul sedile posteriore vicino alla gabbia di Principe cercava di distrarlo
in mille modi con scarsi risultati anche perché soffriva il mal d’auto. Appena
la macchina si metteva in moto i suoi miagolii di dispetto si mutavano in veri
lamenti di malessere, tirava fuori la lingua a penzoloni, come fanno i cani
quando sono stanchi o hanno caldo, ansimando e sbavando.
Era un tormento vederlo in quelle
condizioni, per cui facevamo numerose tappe per fagli riprendere fiato e per
ripulire la gabbietta dai suoi bisognini che faceva immancabilmente per
l’emozione del viaggio. Finalmente arrivati a destinazione, una volta dentro
casa e aperta la gabbietta spariva rintanandosi in un luogo nascosto per un
paio di giorni, non cercando neanche il cibo.
Quando finalmente ricominciava a girare per
casa, a mangiare, a chiedere di uscire in giardino nei miei confronti, però,
manteneva le distanze per tutto il tempo del soggiorno marino: non si faceva né
accarezzare, né veniva a sedersi sulle mie ginocchia, chiaramente mi faceva
capire di avercela con me perché lo avevo portato via con l’inganno dal suo territorio.
Tuttavia dopo un po’ si abituava al
nuovo ambiente, usciva dal giardino e gironzolava nei giardini delle villette
vicino alla nostra, molto attratto dagli inconsueti odori di quel che resta
della macchia mediterranea, entrando con una certa circospezione in relazione
con alcuni gatti randagi che il guardiano del nostro complesso residenziale ogni tanto alimentava con
qualche avanzo. Erano gatti un po’ malconci che arrivavano all'inizio della
stagione estiva pelle ed ossa, essendo sopravvissuti nutrendosi prevalentemente
di topi campagnoli e di quegli uccelli che riuscivano ad acchiappare quando si
posavano sui prati per cibarsi di vermi o d’insetti e che soltanto durante i
mesi estivi riacquistavano le forze grazie al cibo che i villeggianti più
sensibili davano loro.
Essi accettarono Principe nel gruppo di buon
grado probabilmente intimoriti dalla sua stazza e dalla sua sicurezza ed
entrarono a gravitare intorno alla mia casa anche perché noi tutti, colpiti
dalla loro magrezza e dal contegnoso modo di chiedere aiuto, iniziammo a
nutrirli e a farcene carico.
Di
questi gatti ricordo una femmina eccezionale per il suo istinto materno
che per molti anni visse in questa comunità e che noi chiamammo Tappetino per
il suo manto pezzato dalle tante tonalità di rosso, giallo, marrone.
Tappetino pur non essendo una gatta
giovane ed avendo un aspetto macilento e per giunta cieca da un occhio, era
spesso in incinta, ma ciò che stupiva era la dedizione con cui accudiva i suoi
cuccioli riuscendo a farli giungere tutti in buone condizioni fino a quando
diventavano autonomi. Spesso la si incontrava nel vialetto del complesso
residenziale con in bocca uno dei suoi piccoli che in continuazione spostava da
un nascondiglio ad un altro ogni qual volta non lo riteneva più sicuro. Quando
per l’età le gravidanze diminuirono, incominciò ad occuparsi dei nati delle
giovani femmine, rubandoli spesso alle madri o occupandosi di quelli che erano
stati abbandonati. Nella colonia era trattata con molto rispetto e nessuno
osava prevaricarla durante la distribuzione del cibo. Un giorno d’inverno che
io e mio marito eravamo andati a rifornire di cibo il custode, che si prestava
ad accudirli, trovammo Tappetino intenta a pescare in riva al mare, stupiti ci
confidammo con lui che per nulla sorpreso ci riferì che abitualmente la gatta
riusciva a prendere numerosi pesciolini che poi dava ai suoi piccoli.
Per alcuni anni Tappetino rimase con il
gruppo dei gatti marinari, come li chiamavamo in famiglia, poi improvvisamente
scomparve. Il custode, a cui due volte al mese portavamo gli approvvigionamenti
di scatolette, non seppe darci una spiegazione come del resto avveniva anche in
altre occasioni. Era un bravo uomo ma ignorante riguardo agli usi e alle
abitudini dei felini e le sue spiegazioni erano sempre le stesse. Se si
trattava di un maschio diceva: “Sarà andato dietro qualche femmina e si sarà
sicuramente perso” oppure trattandosi di una gattina: “Avrà trovato qualcuno
che le ha dato da mangiare ed è rimasta con il nuovo padrone”. Queste risposte
generiche e un po’ fataliste avevano capacità di innervosirmi ma non potevo dir
nulla perché Lino mi faceva il piacere di dar loro giornalmente da mangiare
anche se sospettavo che non fosse poi così puntuale nell'assolvere il suo
compito in quanto ogni inizio primavera costatavo che le bestiole erano dimagrite
e con un brutto pelo arruffato, segnale evidente di poca salute.
Una altra graziosa gattina era Camilla Parker Bowles, nome attribuitole dal custode stesso, che
alla nostra incuriosita richiesta di spiegazione aveva risposto dicendoci che
secondo lui somigliava alla fidanzata di Carlo d’Inghilterra, oggi moglie, per
il suo incedere altezzoso e che noi, pur non condividendone la somiglianza,
continuammo a chiamarla così. Camilla per molti anni continuò a sfornare
numerosi Camillini fino a quando decidemmo di sterilizzarla, ora continua a
vivere nella colonia e pur avanti negli anni ha mantenuto un ottimo aspetto.
Il più coccolone era però Cechino un
giovane gatto dal manto nero lungo e folto che avevo trovato abbandonato nel
giardino all'inizio delle vacanze estive, non so se dalla mamma o da qualche
vicino che aveva scoperto che nel mio giardino c’era qualcuno che si occupava
dei gatti. Cechino avrà avuto all'incirca un mese ed era in pessime condizioni
di salute, aveva gli occhi completamente chiusi da croste gialle e anche le
narici erano parzialmente ostruite dal catarro che fuoriusciva dal naso,
inoltre starnutiva a ripetizione.
Poiché non vedeva, stava fermo in una
aiuola, tutto sporco di terra e si lamentava. Lo presi in mano e con l’aiuto di
mia figlia incominciai con un batuffolo di cotone bagnato a cercare di
ammorbidire le croste per liberargli gli occhi. Ci volle molto tempo prima che
le croste fossero rimosse e quando ciò avvenne gli occhi incominciarono a
buttar fuori pus. Mi feci indicare un veterinario e una volta arrivato il mio
turno, dopo una certa attesa insieme ai proprietari di cani, gatti, conigli e
volatili, il medico mi disse che il micetto era affetto dalla corizza una forma
di raffreddamento molto comune fra i gatti, visitandolo aggiunse che ormai un
occhio era compromesso, ma che l’altro poteva essere salvato con applicazioni
giornaliere di una pomata antibiotica ed altre medicine per bocca. Seguii le
sue indicazioni per buona parte dell’estate e il piccolo si riprese, ricominciò
a mangiare e a muoversi con sicurezza anche se con un solo occhio. Quell'esperienza
comunque mi tornò utile perché imparai ad intervenire subito con le cure
appropriate quando mi si ripresentarono casi simili, dal momento che questa
malattia è comunissima fra i neonati e presso i gatti della colonia marina è
molto diffusa. Da adulto Cechino era diventato un bellissimo gatto robusto con
un pelo folto e lucido ed estremamente coccolone; ogni volta che d’inverno il
sabato o la domenica sentiva la nostra auto arrivare al cancello era il primo a
correre verso di noi, seguito da tutta la compagnia, e a buttarsi a pancia
all'aria in attesa delle nostre carezze delle quali non era mai pago. Verso i
due anni per paura che si allontanasse appresso alle gatte e che andasse in
contro a maggiori pericoli avendo solo un occhio, lo facemmo sterilizzare e per
alcuni anni visse tranquillo nel mio giardino poi inspiegabilmente sparì con
grande nostro dispiacere.
Un giorno di fine estate mentre ero
ancora alla casa del mare in cucina a preparare il pranzo sentii Principe fare
degli strani versi come quando qualche volta vomitava degli involti di pelo che
deglutiva durante le sue pulizie, più incuriosita che allarmata andai a vedere
che cosa stesse succedendo e trovai Principe in un lago di sangue che a mala
pena si reggeva sulle zampe. Resami conto che doveva trattarsi di qualcosa di
molto grave lo afferrai e più in fretta che potei lo condussi in auto dal
veterinario. Quando giunsi Principe sembrava inerte, un mucchio di pelo
afflosciato su sé stesso anche perché
durante il tragitto aveva vomitato sangue ripetutamente. Il medico appena lo
vide e dopo aver sentito da me la descrizione dei suoi sintomi diagnosticò un
avvelenamento, dicendomi che avrebbe tentato tutto il possibile, ma che la
situazione era molto critica.
Gli iniettò subito un antiveleno poi mi
disse di lasciarlo da lui in osservazione perché avrebbe dovuto reintegrargli i
liquidi persi attraverso una flebo e che, solo dopo ventiquattro ore avrebbe
potuto sciogliere la prognosi. Per fortuna le condizioni di Principe
migliorarono grazie al pronto intervento del medico che aveva fatto una
diagnosi esatta e l’indomani lo potemmo riportare a casa anche se piuttosto
malconcio; qualche giorno dopo ripartimmo per Roma e questo fu un bene perché
al mare sarebbe stato difficile controllare Principe e costringerlo ad alcuni
giorni di convalescenza perché l’attrattiva del giardino e dei prati che si
intravedevano dalle finestre avrebbe reso il nostro compito molto difficile.
Dalle mie indagini comunque emerse che
Principe non era stato l’unico gatto ad essere stato avvelenato, ma che spesso
erano stati trovati dal guardiano nelle vicinanze altri gatti morti, e che con
molta probabilità la causa poteva ricondursi a delle esche per topi disseminate
nei giardini circostanti. Questa ipotesi, però, non mi trovò mai molto convinta
poiché essendo Principe diffidente per natura e non avvezzo a mangiare fuori
casa, non ritenevo che potesse essere stato attirato da dei bocconi per topi,
forse invece, qualche esca più prelibata ma subdolamente nociva avrebbe potuto
trarlo in inganno, preparata non per i topi, ma proprio per i gatti da qualche
villeggiante e il sospetto incominciò ad avanzare nella mia mente circa
l’identità dell’avvelenatore, ma non avendo trovato prove evidenti le mie
rimasero solo supposizioni che però resero le mie vacanze al mare meno
spensierate per il pericoli in cui i gatti marini potevano imbattersi.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Commenti
Posta un commento