4. Il principe di casa e la signora Marcella
Poiché avevo potuto accasare solo tre
cuccioli di Baffetta, sul balcone nel grande cesto era rimasto solo quello che
assomigliava molto alla mamma e faceva una gran pena vederlo vagare tra i vasi,
miagolando di tanto in tanto alla ricerca dei fratellini e della mamma che ora
si presentava soltanto all'ora del pasto.
Mi piangeva il cuore vederlo
precipitarsi verso di me nel tentativo di entrare in casa ogni volta che
riempivo sul balcone la sua ciotolina con il cibo e il suo musino interrogativo
mi riempiva di sensi di colpa.
Un giorno vedendolo particolarmente abbattuto
rifiutare il cibo per tutta la giornata feci il grande passo e mi decisi di
accoglierlo fra noi e di questa decisione devo ammettere di non essermi mai
pentita.
Inutile descrivere la felicità dei miei
figli quando si ritrovarono in casa quel batuffolino peloso che pieno di
curiosità girava per la casa nascondendosi sotto i mobili, salendo sulle
poltrone, cercando di giocare con tutto ciò che gli sembrava interessante.
Anche mio marito che fino a quel momento non si era fatto coinvolgere dalla
storia dei gattini nati sul balcone, si mostrava affascinato dalla vivacità e
dal suo aspetto tenero e indifeso.
Il nostro piccolo ospite imparò subito a
fare i suoi bisognini nella lettiera che avevamo sistemato nel bagno di
servizio e a riconoscere come suo rifugio un graziosissimo cestino che i miei
figli avevano imbottito con un soffice cuscino, anche se la sua passione era
saltare su divani e poltrone e tentare anche la scalata dei letti dai quali,
però, noi lo allontanavamo perché non prendesse l’abitudine di salirvi.
“Bisognerà dargli un nome” propose dopo
qualche giorno mia figlia, “ormai fa parte della famiglia ed è giusto che lo
abbia perché prenda coscienza di sé e capisca quando ci rivolgiamo a lui”. “Certamente,
ma non so se i gatti siano così intelligenti come i cani di rispondere a comando
quando li si chiama” replicò mio figlio che nutriva qualche perplessità sulla
disponibilità dei felini ad interagire con gli umani.
Comunque dopo varie proposte di nome
avanzate da parte di ognuno della famiglia e bocciate per questo o quel motivo
dall'uno o dall'altro, finalmente uno ci trovò concordi: Principe, e così si
chiamò.
Da quando mi ero incominciata ad
interessare del mondo felino che mi circondava, a riconoscere alcuni gatti
della colonia che vivevano nelle strade adiacenti alla mia abitazione avevo
anche appreso che questi animali erano accuditi amorevolmente da una signora
che abitava proprio di fronte al mio palazzo al di là della strada e che più
avanti ebbi modo di conoscere.
La signora Marcella conduceva la sua
vita in funzione delle bestiole come le definiva affettuosamente; da poco in
pensione come impiegata di un ente pubblico, buona parte del suo stipendio lo
spendeva per assicurare ai sui piccoli amici le loro razioni giornaliere di
cibo e le cure che di tanto in tanto essi richiedevano.
La signora, quando ancora era in buona
salute, era abituata ad alzarsi molto presto al mattino per preparare il cibo
per i suoi assistiti ed alle cinque del mattino era già in strada con qualsiasi
tempo con due pesanti sporte. D’inverno imbacuccata all'inverosimile, con
turbante, sciarpa e un ampio cappotto fino a terra, in estate infagottata in
una vestaglia sgargiante. Una mattina d’inverno, che mi ero svegliata di
soprassalto molto presto e messa alla finestra richiamata da alcuni miagolii,
la vidi uscire dal cancello di fronte al mio portone. Al suo apparire, quasi
materializzati dal nulla, apparvero i suoi gatti, lentamente, con eleganza, alcuni
sbucando dalle vie vicine, altri balzando dai muretti divisori di cortili
interni, altri ancora emergendo da sotto le auto, dalle rampe di garage o da
bui sottoscala. Tutti sembravano muoversi al rallentatore, i gatti non si
agitavano in attesa che la signora Marcella terminasse di distribuire nei
piattini la loro razione ma attendevano pazientemente ognuno al proprio posto,
secondo una gerarchia prestabilita. Alla fine si avvicinarono distribuendosi
intorno ai piattini in piccoli gruppi, mentre gli altri che non avevano trovato
posto attendevano composti il loro turno seguendo con gli occhi vigili i
compagni. Rimasi sorpresa dal silenzio e dal rispetto che avevano gli uni degli
altri ma con il tempo imparai che almeno che i gatti non siano affamati,
difficilmente tentano di prevaricare i compagni aggredendoli, perché fra di
loro vigono delle leggi ben precise all'interno del gruppo; di tanto in tanto
si può assistere a qualche brontolio minaccioso o a qualche rapida zampata
intimidatoria nei confronti di qualcuno e quando ciò capita questi avvertimenti
sono rivolti ad animali esterni alla colonia che affamati cercano di inserirsi
senza previo permesso o ai più giovani che non conoscono bene le regole, ma
sono sufficienti questi semplici segnali per far perdere l’arroganza al nuovo
arrivato e la spavalderia al giovane inesperto.
Terminata la distribuzione sotto il suo
portone, la signora proseguiva il suo giro mattutino accudendo altre bestiole
che l’attendevano con una puntualità sorprendente in alcune strade adiacenti.
Assolveva il suo compito con grande dignità e forzato distacco perché, come un
giorno mi confessò durante una conversazione telefonica, non voleva creare con
essi un legame affettivo che li danneggiasse.
“Vede signora”, mi spiegò in quella
occasione “io cerco di non coinvolgermi troppo emotivamente, di non fare alle
bestiole moine e coccole perché non diventino troppo fiduciosi nei confronti
degli uomini, desidero che mantengano la loro naturale diffidenza verso tutto e
tutti, solo così si possono salvare dalla gente cattiva che vuole il loro male
e anche in questo quartiere ce n’è tanta. Intervengo solo quando c’è qualche
bestiola da curare o da portare dal veterinario o quando bisogna prendere
qualche femmina per farla sterilizzare e tutto a mie spese ben inteso.”
Quest’ultima frase mi riportò alla mente
un episodio a cui mi era capitato di assistere qualche tempo prima e che mi
aveva sconcertato non essendo ancora al corrente dell’attività della signora.
Erano le prime ore del pomeriggio e nella strada regnava ancora una relativa
calma quando improvvisamente il silenzio fu rotto da strazianti miagolii, passi
concitati di più di una persona che si muovevano nervosamente, richiami del
tipo: “Prendila, corri, è sotto la macchina, no, guarda quell'altra si è
infilata in quel giardino”. Mi affacciai preoccupata alla finestra e vidi delle
donne fra cui la signora Marcella, che all'epoca non conoscevo, correre con
delle grosse gabbie dietro a dei gatti con l’intenzione di catturarli. Rimasi sorpresa:
“Che cosa stanno facendo?” Pensai “vogliono forse prenderli per darli a quelle
organizzazioni che li utilizzano per esperimenti scientifici?” Agitatissima ero
sul punto di chiamare la protezione animali quando mi venne in mente di
chiedere informazioni al portiere che dei movimenti del quartiere era di solito
sempre al corrente e feci bene, risparmiandomi una figuraccia perché il buon
Giacomo mi disse subito, con un tono un po’ sarcastico, che si trattava di
gattare alle prese con delle femmine da sterilizzare.
La signora Marcella provvedeva a distribuire
il cibo anche al pomeriggio verso le quattordici, per sfamare quelle bestiole
che al mattino non fossero state presenti o i più piccoli che non fossero
riusciti ad avvicinarsi alla scodella. All'epoca a cui faccio riferimento la
colonia era molto numerosa trenta o forse più individui ai quali si
aggiungevano i gatti di passaggio.
La signora quando scendeva in strada si
muoveva con molta circospezione, guardandosi intorno e alle spalle come temesse
qualcuno, non indugiava con i suoi piccoli amici, ma dopo aver riempito i
piatti o le ciotoline con l’acqua, velocemente ritornava sui suoi passi. Questo
suo modo guardingo mi aveva spesso sorpreso non comprendendone la ragione, ma
qualche tempo dopo lei stessa me ne fornì spiegazione. Sempre durante una conversazione telefonica, comunicavamo
soltanto in questo modo, mi raccontò di quante angherie avesse dovuto
sopportare da parte di alcuni condomini che le rendevano la vita impossibile
per il fatto che in casa avesse alcune bestiole e perché si occupava della
colonia. “ Non può immaginare mia cara”, mi disse quel giorno “ di quali
cattiverie sono capaci alcune persone del mio palazzo, ce n’è uno in
particolare “ il napoletano” che forse sicuramente lei avrà visto, perché sta
sempre a controllare dietro alle finestre, che addirittura mi ha gettato sotto
la fessura della porta del mio appartamento della creolina provocandomi un attacco d’asma e quando lo ho
accusato di aver attentato alla mia salute, la moglie è arrivata a mettermi le
mani addosso. Sono in causa con loro ma per come va la giustizia in Italia
chissà quando avrò soddisfazione. Mi accusano che nell'androne si sente cattivo
odore, che i gatti fanno i loro bisogni nelle aiuole ma non è assolutamente
vero perché io tutti i giorni pago una persona per tenere pulito e quando è
venuto il personale della A.S.L, chiamato dall'amministratore, non hanno fatto
altro che costatare che era tutto perfettamente igienico.”
Quando la signora Marcella mi faceva questi
sfoghi in modo molto alterato io rimanevo un po’ sconcertata pensando che
esagerasse perché non riuscivo a credere che si potesse arrivare a tali forme
di intolleranza, ma dopo un po’ dovetti ricredermi in quanto anch'io venni
fatta oggetto di alcuni fatti spiacevoli.
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