Ieri, oggi e domani: un nuovo inizio
È primavera
inoltrata, dalla finestra spalancata entra un profumo intenso di gelsomino, il
folto rampicante fiorito che si trova sul balcone di un condomino del piano di
sopra manda un effluvio che riempie le stanze del piccolo appartamento. Gemma
ha appena finito di pulire a fondo il soggiorno e guardandosi intorno ancora
non riesce a credere che quella casa sia sua. Ha ultimato il trasloco solo una
settimana prima e sta finendo di sistemare le ultime cose, anche se in realtà non
erano tanti i bagagli che aveva con sé.
Improvvisamente sente
provenire dalla camera in fondo, quella in cui dormono lei e sua figlia, delle allegre
risate, e un sorriso le si dipinge in volto. Francesca starà sicuramente
vedendo l’ennesima replica di Masha e Orso,
pensa, ogni volta che vede quel cartone animato si diverte tanto. Sentirla di
nuovo ridere è stato l’unico obiettivo che per mesi le ha dato la forza di
andare avanti.
Ogni qualvolta si
ferma a pensare al passato un brivido freddo le attraversa tutta la schiena, e
i suoi muscoli si irrigidiscono. Sa che ormai non può farle più del male, ma
ogni volta che ripensa a lui, e accade ancora troppo spesso, il fiato le si fa
di nuovo corto, il terrore l’assale e comincia a sudare.
Per tre lunghi,
interminabili anni ha continuato sperare, a pregare che le cose con lui cambiassero,
che lui cambiasse. Non poteva arrendersi all’idea che fosse un mostro, di aver
sposato un essere spregevole, una creatura orribile nascosta dietro un viso
d’angelo.
Così le era
sembrato quando lo aveva conosciuto da ragazzo, che fosse un angelo. Si era
innamorata di Marco otto anni prima, all’età di vent’anni; lui l’aveva
conquistata con mille premure e attenzioni, che nascondevano già quella sua
mania di possesso e di controllo che dopo il matrimonio si sarebbe rivelata in
maniera brutale. Appena sposata era rimasta subito incinta di Francesca, e lui
le aveva consigliato di lasciare il lavoro da barista, che lei amava tanto, spiegandole
che era un lavoro troppo stancante per una donna nel suo stato. All’inizio le
era dispiaciuto, ma aveva anche pensato che avrebbe potuto godersi la
gravidanza. Ma dopo poco, e in maniera graduale, il marito le aveva impedito di
avere contatti con gli amici, di vedere la sua famiglia, di usare il cellulare,
infine di uscire di casa. Ed era diventato pian piano sempre più geloso,
facendole il vuoto intorno.
Nei mesi
successivi aveva cominciato a tornare a casa ubriaco, ad alzare le mani e a
sfogare la sua rabbia su di lei, la insultava e le vomitava addosso tutto il
suo odio. E dopo la nascita di Francesca la situazione era peggiorata: la
bambina piangeva, era irrequieta, e lui non sopportava i suoi continui lamenti
e mugugni; le intimava di farla stare zitta, altrimenti l’avrebbe fatto lui.
Gemma non ha mai
capito cosa avesse portato a quella trasformazione: durante il fidanzamento
nulla lasciava presagire un comportamento del genere. Certo, non le permetteva
di indossare gonne corte, storceva il naso quando usciva da sola con le sue
amiche (cosa che aveva smesso di fare ben presto per non farlo dispiacere), le
controllava ogni tanto il telefonino, ma pensava che fosse solo un po' geloso, come
lo sono qualche volta i fidanzati innamorati.
Solo ora comprende
quanto fosse stata stupida, cieca, quanto avesse sottovalutato quei segnali,
quanto non avesse voluto vedere la verità.
A tutto però c’è
un limite, e un giorno si era resa conto che la strada intrapresa era solo un
vicolo cieco che l’avrebbe portata ben presto alla morte. Lui diventava ogni
giorno più intrattabile, scattava per un nonnulla, e la bambina terrorizzata
aveva iniziato ad avere problemi. Solo allora si era resa conto che la stava
trascinando con sé nel baratro, e non poteva permetterlo. Un pomeriggio, appena
lui era uscito di casa, aveva preso in braccio Francesca, messo in uno zaino i
pannolini, dei fazzoletti, venti euro, ed era andata in commissariato a
denunciare il marito. Alla polizia aveva detto tutto, ma anche di non avere un
altro posto dove andare. Così era stata sistemata in una casa di accoglienza,
dove grazie all’aiuto delle operatrici aveva ricominciato pian piano a vivere,
si era trovata un lavoro e poi, dopo quasi un anno, una casa.
All’inizio non si
era sentita pronta a lasciare quel rifugio sicuro, aveva incubi continui, pensava
che lui l’avrebbe trovata e portata via con sé. Usciva solo per andare al
lavoro e si guardava continuamente attorno con il terrore di vederlo spuntare
dietro a ogni angolo.
Poi, un pomeriggio,
mentre sfogliava distrattamente un quotidiano locale, la sua attenzione era
stata catturata da un trafiletto in cronaca: riportava la morte di un giovane
centauro che ubriaco aveva perso il controllo dello scooter e si era schiantato
contro un albero, perdendo la vita. Il suo nome era Marco Volta, suo marito.
Rilesse quell’articoletto
decine e decine di volte prima di convincersi che fosse vero, e ci mise diversi
giorni prima di rendersi conto di non aver più nulla da temere. Solo allora
trovò il coraggio di lasciare la casa di accoglienza per trasferirsi in un
appartamento dove vivere con la sua bambina.
Il domani ora non
le fa più paura, ha ventotto anni e una vita davanti. Insegnerà alla sua
bambina ad essere indipendente, a non aver bisogno di un uomo per sentirsi
completa, perché solo se sarà serena e felice con sé stessa, quando arriverà
l’amore vero lo saprà riconoscere, perché sarà quell’amore puro che le vorrà
bene per quello che lei è e non per quello che lui vuole che sia.
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