8 Secondi e 1/2

 

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La vice ispettrice di Polizia Annuzza Asparino consegna la lettera a sua sorella Filomena e aggiunge poche parole: “Filomè fammi parlare con lei”, indicando con la testa la porta alle spalle di quest’ultima. La targa sulla porta è di ottone lucidissimo: Prof. Marinella Muscarà - Preside della Facoltà di Studi Classici, Linguistici e della Formazione - Università degli Studi di Enna "Kore".

“La professoressa è assai impegnata Annù, ma chi c’è dietro a tìa?” chiede Filomena allungando il collo per scoprire chi si nasconde alle spalle della sorella in divisa.

“Filomena non è solo la mia assistente, talvolta è pure la mia carceriera… Annuzza accomodati e fai entrare con te anche il ragazzo.” Lui, con timidezza, si mostra: alto un po’ meno di Annuzza, magro come uno stecco ma muscoloso, pelle scura su un viso dove i neri capelli corti e lisci e la bocca leggermente carnosa fanno da cornice a due occhi vivaci e determinati, neri come il carbone.

Annuzza, nonostante la divisa ed il grado, ha sempre avuto grande rispetto e ammirazione della Preside Muscarà, una delle donne più colte della Sicilia, ed è quindi con soggezione che le porge la lettera: “Si chiama Nadir, è arrivato alla stazione di polizia due mesi fa, accompagnato da una ragazza, anche lei araba, che ci ha tradotto quel poco che ha detto. Gli abbiamo preso le impronte, niente documenti, gli abbiamo fatto scrivere la sua storia su pochi fogli di carta e poi lo abbiamo portato in una comunità di accoglienza. Grazie ad un lavoro in un’impresa edile, da alcuni giorni ha ottenuto un permesso temporaneo di soggiorno. Stessa storia di tanti altri come lui, Professoressa. Ma questa mattina, ho finalmente letto quei fogli che adesso sono nelle sue mani”.

La Preside comincia a leggere a mezza voce ma in modo che tutti, nella stanza, possano ascoltare.

Mi chiamo Nadir e ho 18 anni. Fino al 2 maggio di quattro anni fa la mia vita era stata perfetta. Vivevo ad Islamabad con i miei genitori e Halima, la mia sorellina di tre anni. Andavo al liceo in una delle scuole private più prestigiose della città. I miei genitori volevano che continuassi a studiare per poi frequentare l’università in qualche grande città europea. A me sarebbe piaciuta Milano dove sarei potuto andare ad ascoltare l’opera che piaceva tanto alla mia mamma e dove avrei ricevuto la miglior preparazione per diventare un insegnate come lei o un imprenditore come il mio papà.

Quel pomeriggio i miei genitori erano andati alla moschea. Nelle ultime settimane ci andavano spesso e mi lasciavano a casa con mia sorella e la baby-sitter; ma quel giorno mi avevano promesso che sarebbero tornati presto perché era il mio compleanno e la sera dovevamo festeggiare. Mamma aveva fatto preparare una torta gigante e riempito casa di palloncini colorati che io detestavo perché ormai avevo 14 anni e temevo gli sfottò dei miei amici che sarebbero venuti a trovarmi. Ma quel giorno i miei stavano tardando e io diventavo, di minuto in minuto, sempre più inquieto. Decisi di raggiungere la moschea, ad appena cinque minuti a piedi da casa.

La moschea era sempre molto gremita a quell’ora. Mi intrufolai all’interno cercando di non farmi vedere da nessuno. Speravo di individuare in fretta il mio papà. Ma quando mi ritrovai dentro mi accolse un inatteso silenzio e, dopo aver fatto solo qualche passo vidi, nella penombra della sala, che tutti gli uomini erano addossati alla parete più lontana dall’ingresso. Mi nascosi dietro una colonna e scorsi due tizi, con dei pesanti pastrani addosso, che puntavano sul gruppo i loro fucili. Improvvisamente uno dei due cominciò ad urlare parole in una lingua che non capivo. Papà mi aveva sempre intimato che, se avessi incontrato persone simili, sarei dovuto scappare subito il più lontano possibile. Ma ora non potevo… non potevo andarmene senza di lui…che era lì da qualche parte, lì in fondo, ma non riuscivo a vederlo. Non sapevo cosa fare, avevo paura e desideravo solo di trovare il mio papà e uscire da lì con lui. Tremavo, nascosto dietro la colonna, quando mi giunse la sua voce che urlava, a molti metri da me, solo due parole: “Nadir scappa!”; le ultime due parole che gli sentii pronunciare, con tutto il fiato che avesse in corpo.

Ancora oggi mi chiedo come mi avesse scorto. So solo che quell’urlo così potente mi risvegliò dal terrore che mi immobilizzava e mi fece girare di scatto e cominciare a correre verso l’uscita. Non mi voltai più indietro ma corsi il più veloce possibile con tutte le forze che avevo in corpo.

Correvo contando i secondi per darmi il ritmo, come mi aveva insegnato papà quando ci allenavamo insieme e mi ripeteva sempre: “più metri fai in meno secondi più possibilità hai di sopravvivere, figlio mio”.

8 e ½…esattamente otto secondi e mezzo mi ci sono voluti per raggiungere l’uscita della moschea prima che non ne rimanesse più nulla. Arrivai fuori prima che le esplosioni delle bombe, piazzate nei pastrani degli attentatori, distruggessero l’intera moschea e uccidessero tutti quelli che c’erano dentro, compresi i miei genitori. Si, anche mia madre, che si trovava nella sala accanto intenta, con le altre donne, nei preparativi per il Ramadan.

L’attentato fu rivendicato dalla fazione religiosa Wahhabi: li avevano uccisi perché erano appartenenti alla "Shīʿa". 8 secondi e ½ sono stati sufficienti per stravolgere tutta la mia vita.

Quel giorno feci due promesse ai miei genitori: quella di farli essere sempre orgogliosi di me e che mi sarei preso cura io della mia sorellina non facendole mancare niente e ce la sto mettendo tutta per rispettarle. Nei 4 anni successivi ho continuato a vivere e studiare a Islamabad con mia sorella Halima. La primavera scorsa, ho conseguito il diploma con il massimo dei voti, poi, tre mesi fa ho deciso di scappare dal mio paese per raggiungere clandestinamente l’Italia. Il mio sogno è di riprendere a studiare, laurearmi e permettere che la mia sorellina possa avere un futuro qui in Italia insieme a me. Ho scritto questa lettera, nella speranza che mi sia data la possibilità di mantenere le promesse fatte ai miei genitori defunti.

A voi che leggete questi fogli, prometto che non Vi deluderò e che farò di tutto per ripagare la fiducia che, spero con tutto il cuore, Voi vogliate darmi.”

La Preside Muscarà si asciuga gli occhi colmi di lacrime e riconsegnando la lettera ad Annuzza le stringe entrambe le mani, poi guarda Nadir negli occhi e continuando a mantenere lo sguardo nei suoi sussurra: “Filomena, prepara i documenti, se c’è uno studente straniero che merita la borsa di studio internazionale quello è sicuramente Nadir”. 

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