La prova del nove


Francesca guardava continuamente l’orologio, le tremavano le mani e non faceva che sudare. Sapeva che doveva passare ancora almeno mezz’ora prima che fosse il suo turno e ormai l’ansia la divorava. Avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì, tuttavia a questo punto non poteva più tirarsi indietro. In realtà aveva cercato in tutte le maniere di evitare di trovarsi in quella sala, seduta su quella poltroncina, ma diversi eventi avevano remato contro di lei, prima fra tutte la caduta rovinosa del suo capo. Se lui non fosse scivolato mentre portava la domenica a passeggio il cane, fratturandosi la rotula della gamba sinistra, ora lei sarebbe stata comodamente seduta al computer ad elaborare dati e non in attesa di parlare davanti ad un pubblico di quasi mille persone.

Quando Paolo l’aveva chiamata per dirle quello che gli era successo lei si era sentita in dovere di dirgli di stare sereno e di pensare solo a guarire che in laboratorio avrebbe pensato a tutto lei. D’altronde era la sua viceresponsabile e il laboratorio il suo piccolo mondo in cui si sentiva completamente a suo agio ma, quando lui le aveva riferito che non si sarebbe rimesso in tempo per recarsi al congresso nazionale per esporre i risultati del loro ultimo lavoro e che sarebbe dovuta andare lei, per poco non era caduta dalla sedia.

Sin da piccola Francesca odiava essere al centro dell’attenzione, era stata una bambina molto timida ed introversa. Crescendo si era aperta maggiormente al mondo ed al prossimo ma era rimasta comunque diffidente verso gli estranei e sempre molto riservata. Amava circondarsi di pochi amici fidati con i quali si divertiva nel tempo libero. D’estate i suoi passatempi preferiti erano le passeggiate all’area aperta o le grigliate a casa sua in montagna, d’inverno invece mostre, cinema e teatri erano i suoi abituali svaghi. Da sempre odiava la calca delle discoteche o dei concerti e il suo essere così solitaria non era mai stato un problema per lei, anzi non sopportava chi per stare bene aveva bisogno dell’incessante approvazione degli altri.

L’unica nota dolente per questo suo carattere era quando doveva per forza uscire dal suo guscio ed esporsi in prima persona davanti ad un pubblico che poteva essere numeroso ma mai come in questo caso, perché finora era riuscita a limitare al minimo i suoi interventi. Il suo capo, a conoscenza della sua ritrosia, aveva spesso assecondato le sue scelte. Paolo sapeva quanto Francesca fosse brava e quanto amasse il suo lavoro e senza di lei in alcuni momenti si sarebbe sentito perso perché la sua praticità e la sua bravura organizzativa lo avevano salvato diverse volte, così non l’aveva mai troppo spinta ad aprirsi commettendo forse però un errore.

Nei giorni precedenti la conferenza Francesca lo aveva chiamato in più occasioni per essere sicura che la sua presentazione in power point fosse perfetta, gliela aveva inviata diverse volte e, nonostante non ci fossero più correzioni da fare, lei non si sentiva tranquilla. Neanche ora, seduta sulla poltroncina mentre attendeva di esporre la sua relazione, si dava pace. Continuava mentalmente a ripetere il suo discorso e a controllare in continuazione alcuni fogli di appunti che si era portata dietro alla ricerca di qualche errore che le fosse sfuggito. La sala era piena, non c’erano posti a sedere liberi, tutta la platea era concentrata a seguire i diversi interventi che si susseguivano.

Francesca picchiettava nervosamente con le dita il bracciolo della poltrona, non ce la faceva più, doveva assolutamente togliersi questo terribile peso. Finalmente il relatore che la precedeva finì di parlare ma alcuni auditori chiesero di poter fare delle domande. Nel frattempo uno stuart le disse di avvicinarsi al palco perché di lì a breve sarebbe stato il suo turno. Come si mise in piedi sentì le gambe farsi molli, tremare ma, con un gran respiro, si impose il massimo autocontrollo e dominando l’impulso di girarsi e fuggire via, con lentezza e con non curante sicurezza si diresse verso il palco.

Se qualcuno l’avesse osservata mentre attendeva il suo turno, defilata ai piedi del palco, non avrebbe mai potuto immaginare quello che stava provando. Al mondo esterno dava l’impressione che nulla la turbasse, concentrata solo sul suo obiettivo sembrava perfettamente a suo agio in quell’ambiente, dentro di sé stava invece soffrendo ma mai e poi mai si sarebbe fatta vedere insicura o impacciata, il suo orgoglio glielo impediva. Quando le fu fatto cenno di salire sul palco lei non mostrò una sola esitazione, andò veloce verso la sua postazione e senza perdere un solo secondo, appena vide sui monitor apparire la sua presentazione, dopo aver chiuso un attimo gli occhi per trovare la giusta concentrazione, cominciò spedita la sua relazione.

 Il suo intervento durò circa tre quarti d’ora, come previsto, ma lei ebbe l’impressione che fossero passati solo pochi minuti. Espose i risultati del suo gruppo in maniera chiara, facile senza nessuna esitazione. La sua relazione fu un successo, diversi uditori le posero domande per soddisfare loro curiosità o interrogativi e lei con pazienza e con dovizia di particolari fugò loro ogni dubbio.

Quando poté allontanarsi dalla sala della conferenza si diresse con calma verso il bar del polo congressuale, scelse uno dei tavolini più defilati, si sedette ad una delle poltroncine ed ordinò al cameriere una birra ghiacciata doppio malto. Ora felice poteva finalmente rilassarsi.


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