L'intrusa



L’ora era cominciata già da quindici minuti ma ancora non aveva detto una sola parola. Era entrata nell’aula nella completa indifferenza degli alunni, si era seduta alla cattedra e aveva aperto il registro di classe per annotare le assenze, dopodiché aveva incrociato le braccia e aveva aspettato che i ragazzi le prestassero l’attenzione necessaria per cominciare la lezione, questa volta aveva scelto il silenzio. 

Da quando si era presentata circa tre settimane prima alla classe, come la nuova supplente per l’anno in corso di italiano e storia perché la loro docente aveva avuto un esaurimento nervoso e si era messa in malattia, le aveva provate tutte per cercare di attirare la loro attenzione, ma senza successo. Ritornando con la mente al primo giorno si era resa conto che il suo approccio iniziale era stato fallimentare. Presentandosi alla classe si era mostrata timida, intimorita si disse quasi spaventata anzi, tolse il quasi e mise un completamente spaventata dai ragazzi che aveva di fronte. Lei giovane ventisettenne appena laureata in Lettere Moderne e al suo primo incarico di supplente, cresciuta in un tranquillo quartiere residenziale, si era trovata catapultata di colpo in uno dei peggiori licei della capitale, in un difficile quartiere di periferia. In una borgata romana conosciuta in tutta la penisola per i tristi fatti di cronaca che riempiono ogni giorno pagine di giornali in quanto in mano alla criminalità organizzata. Quando aveva appreso quale cattedra le era stata assegnata era stata tentata inizialmente di rifiutare l’incarico, sapeva di non avere l’esperienza e il carattere necessari per affrontare un tale compito ma da quando aveva deciso di andare a vivere da sola, dopo la laurea, non voleva essere più un peso per la famiglia quindi alla fine si era convinta a non rinunciare ad uno stipendio sicuro. 

Nonostante fosse arrivata da poche settimane aveva già incominciato a conoscere gli alunni, infatti nonostante la sua giovane età lei era stata sempre un’attenta osservatrice e conoscitrice dell’animo umano quindi aveva già inquadrato la gran parte dei ragazzi che componevano la sua classe. In quel momento stava osservando Eros e Riccardo, due quindicenni che non curanti del fatto di essere in un’aula, avevano tranquillamente tirato fuori dalla tasca un mazzo di carte e si stavano sfidando ad una partita di briscola.  “Merda!! E’ la terza vorta che me stracci, sei un maledetto bastardo! Me mancano le carte giuste altrimenti t’avrei battuto!” Urlava concitato Eros. “Non rompe’, lo sai che con me non ce la fai, la sorte tua è perde’ tu e la famiglia tua!” gli rispondeva aggressivo Riccardo, da tutti soprannominato Ricky, figlio di un noto trafficante di droga, uscito già diverse volte di galera, il quale non faceva mistero di volere che il figlio studiasse ragioneria per aiutarlo a tenere i conti dell’azienda di famiglia, cosa di cui il ragazzo andava molto fiero. 

In realtà Riccardo era terrorizzato dal padre, era un ragazzo sveglio ed intelligente ma non in grado di fronteggiare la forte personalità paterna. Probabilmente se fosse nato in un contesto diverso avrebbe avuto tutte le potenzialità per affrontare un percorso di studi ben diverso ma invece in quello in cui era cresciuto era condannato ad una strada già segnata. Mentre la giovane professoressa così rifletteva la sua attenzione fu richiamata da Samantha che emettendo un gridolino isterico esordì dicendo: “No!! Me s’è sbaffato lo smalto!!”. La ragazza aveva trasformato il suo banco in un tavolino di estetista e si stava passando diverse mani di uno smalto semipermanente rosso ciliegia contornata da alcune compagne che partecipavano interessate, poi continuando: “Professore’ lo deve provare sto colore è una bomba, vedrà che così trova l’omo giusto e le torna il sorriso!” Le disse con fare sfottente. 

L’insegnate però non emise una parola, immobile continuava a stare a braccia conserte e a fissare un punto davanti a sé ma questo suo ostentato silenzio finalmente richiamò l’attenzione della classe, come si era prefissa. “Professore’ se sente bene?” Le chiese Eros. “Sta lì immobile che non dice ‘na parola! Me sembra la mummia, de come se chiama? Tutacamo!?” continuò Riccardo. “Si chiama Tutankhamon, sai chi era?” Gli rispose la prof girandosi improvvisamente verso il ragazzo. “Veramente no, ma me lo so sempre chiesto!” gli rispose incuriosito Riccardo. “Ah ma quindi non conosci la storia e la maledizione della tomba del giovane faraone?” Gli chiese l’insegnante. “’Na maledizione? Forte Professore’! raccontace un po'!” Intonarono Riccardo e gli altri della classe. La giovane prof non se lo fece ripetere due volte e iniziò a raccontare la storia del faraone riuscendo a creare un certo interesse nella classe. Finalmente aveva praticato un piccolo foro in quel muro di cemento, sapeva però che ci sarebbe voluto ancora molto tempo per riuscire ad abbatterlo ma adesso, almeno, non si sentiva più un’intrusa in quella classe.


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